Nonostante Myles Kennedy
sia ormai parte integrante del progetto Slash e Mark Tremonti sia assorbito anima
e corpo dalla sua, prolifica, carriera solista, gli Alter Bridge sono riusciti
a tornare sul mercato a soli tre anni dal precedente, e fortunato, Fortress.
The Last Hero, prima prova in studio dopo il passaggio alla Napalm Records, riconferma
pregi e difetti di una band che si avvale di un seguito incredibile, quando si
parla di fans e di vendite, ma che continua a mostrare dei limiti strutturali
per quanto riguarda la qualità delle composizioni. In questa ultima prova,
forse proprio a cagione degli impegni dei due leader, gli aspetti negativi
sembrano, infatti, essersi accentuati e la proposta, che in altre occasioni
appariva più convincente, mostra la corda di un songwriting navigatissimo, ma privo
di quei guizzi che ci avevano fatto apprezzare album come Blackbird e AB III.
Intendiamoci: The Last Hero è un disco Alter Bridge al 100% e i fans, anche
quelli della prima ora, apprezzeranno. Ma in senso assoluto, le lacune ci sono
e si sentono tutte. A partire dalla produzione del sodale Michael Elvis
Baskette, che gonfia a dismisura i suoni, forse proprio con l’intento per
coprire il deficit di ispirazione e rendere roboanti brani che diversamente
suonerebbero assai fiacchi. L’abbecedario del linguaggio Alter Bridge, anche in
questo caso, si conferma in toto: riff pesanti e atmosfere vagamente
apocalittiche in contrapposizione a ganci melodici fruibili. Tremonti e Kennedy
sono due fuoriclasse, su questo non si discute, e riescono sempre a dare il
massimo con il minimo sforzo, così come la sezione ritmica composta da Brian
Marshall e Scott Phillips naviga con il pilota automatico. Tuttavia, l’ossessiva
ricerca del mainstream a tutti i costi, svilisce gli sforzi di un gruppo che meriterebbe
un livello qualitativo di ben altra caratura. Se l’apertura di Show Me A Leader
e la successiva The Writing On The Wall rappresentano il meglio del disco e indicano
con efficacia qual è il target a cui deve mirare la band, altri episodi, come
This Side Of Fade (che clona un abusatissimo clichè alla Muse) o il piattume da
FM di You Will Be Remembered e Poisons In Your Veins, per citarne un paio, mostrano
una tendenza al ribasso che inficia la qualità complessiva dell’album. La cui
esasperante lunghezza (circa un’ora e un quarto) toglie, peraltro, ossigeno
anche all’ascoltatore meglio disposto. Un mezzo passo falso, dunque, che tuttavia
venderà benissimo ma che ci fa pensare a una band incapace di liberarsi da un
certa assuefazione radio friendly che ne limita l’estro. Da questi quattro
ragazzi è lecito attendersi molto di più.
VOTO: 6
Blackswan, mercoledì 02/11/2016
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