Gruppo storico dell’Art/Rock americano di inizio 80,
gli Half Japanese di Jad Fair hanno ripreso la piena attività nel 2014 dopo ben
13 anni di assenza, prima aprendo i concerti dei Neutral Milk Hotel poi,
aggiungendo un nuovo album (Overjoyed)
alla loro discografia. Da allora non si sono più fermati, Hear The Lions Roar segna il terzo capitolo di questa reunion e
bissa per modalità produttive e di contenuto Perfect, il bell’album dello scorso anno che li ha riproposti all’attenzione
generale.
La band nasce ad Ann Arbor nel 1974 ne fanno parte i
due fratelli Fair, David e Jad, l’esordio arriva solo nell’80 con 1/2 Gentlemen / Not Beasts, uno dei
dischi più rivoluzionari ed ostici di tutta la prima ondata Post/Punk che
garantirà loro un posto di rilievo nella storia del Rock. Dissacranti (rumori
corporali ed ambientali), parodistici (cover disarticolate di Lou Reed, Modern
Lovers, Dylan e Springsteen), inquietanti dediche a Patti Smith e Jodie Foster,
schizofrenie poliritmiche, un’esplosione di creatività deviata in cui l’ultimo
dei problemi è quello di saper suonare gli strumenti. Per non dire dei testi
demenziali infarciti come sono delle tematiche di cui si nutrivano i b-movie
degli anni 50: mostri, alieni e amori adolescenziali. 36 frammenti (più 2 live)
tra bizzarrie e colpi di genio da mettere a fuoco nel lascito artistico di Trout Mask Replica di Captain Beefheart e contigui alle forme musicali più
radicali ed anarcoidi di quegli anni, vedi i Residents del Commercial Album e la No New
York di Brian Eno. In seguito, tanti i musicisti che si diranno influenzati
dalla libertà compositiva degli Half Japanese, Pavement, Minutemen, i già
citati Neutral Milk Hotel, i Nirvana (Cobain quando morì indossava una loro T-shirt).
Come dire il fior fiore dell’Alt/Rock e, se aggiungiamo le collaborazioni che
hanno visto coinvolto Jad Fair negli anni - da Maureen Tucker a Daniel
Johnston, dagli Yo La Tengo ai Teenage Fanclub (il recente Yes firmato a quattro mani con Norman Blake) - si percepisce l’importanza
della band e del suo immarcescibile leader. Con la fuoriuscita, avvenuta nella
prima metà degli anni 80, di David Fair gli Half Japanese assumono, tra mille avvicendamenti,
la fisionomia di una tipica Rock band, fino alla line-up tutt’ora in essere: due
chitarre, il fido John Sluggett e la new entry Mick Hobbs, una sezione ritmica
tutta sostanza e fisicità, Jason Willett (bs) e Gilles Rieder (bt) e,
naturalmente, la voce cartavetro di Jad Fair e le sue mitiche chitarrine/giocattolo
mai accordate. Anche il sound, a partire dagli album degli anni 90, s’è gradualmente
avvicinato ad un progetto musicale fruibile a più ampio raggio, intro-strofa-ritornello:
una rivoluzione per gli Half Japanese.
Tornando all’oggi e alle canzoni di questo nuovo disco,
solo buone notizie per chi ha apprezzato il ritorno sulle scene della band del
Michigan, ancora positività, gioia di vivere e suonare. Composto e registrato in contemporanea a Perfect, Hear The Lions Roar,
rappresenta una sorta di Vol.2 e contiene alcune tracce davvero coinvolgenti
tra le migliori in carriera. Le chitarre e la batteria martellante sono le protagoniste
di uno spettacolo sempre in bilico tra deflagrazioni Noise/Rock e Pop/Punk
scacciapensieri. Attack Of The Giant Leeches, Here We Are, Hear The Lions Roar, i pezzi più
efficaci. Non mancano le divagazioni che ci ricordano i loro
esordi: le storture ritmiche di It Never
Stops, il Rockabilly ossessivo di Of
Course It Is, l’autistica Super Power.
Accessibili si, ma sempre mettendosi un po’ di traverso, alla maniera del
nostro Jad Fair e di altri sessantenni terribili come Mark E. Smith dei Fall oppure
il David Thomas dei Rocket From The Tombs. Il culto per gli Half Japanese, i re
degli outsiders, può continuare.
VOTO: 7,5
Porter Stout, venerdì 03/03/2017
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