Texano di nascita e nashvilliano
di adozione, Andrew Combs torna sulle scene con un nuovo album, dopo il celebratissimo,
in patria e all’estero, All These Dreams del 2015. Inserito forzatamente dalla
stampa americana nella categoria dei musicisti country, il trentenne songwriter
di Dallas dimostra nuovamente che la geografia roots delle proprie origini e
della città d’adozione incide solo marginalmente sul suo linguaggio
compositivo. Non mancano anche in Canyons Of My Mind ammiccamenti al countrypolitan
(la conclusiva What It Means To You ne è l’esempio più lampante), ma siamo
davvero al minimo sindacale per un artista che ha deciso di trasferirsi a
vivere stabilmente a Nashville. Combs, semmai, paga più di un tributo al
movimento West Coast da cui eredita alcune sonorità deliziosamente retrò, ma,
soprattutto, sa fondere elegantemente una spiccata inclinazione verso il pop
con sporadiche, ma incisive, intemperanze elettriche. Come avviene, ad esempio,
nel sorprendente opener di Heart Of Wonder, uno dei vertici dell’album e
paradigma di un songwriting che quando si smarca dai suoi riferimenti
stilistici produce risultati di originale modernità. Un brano teso come una
corda tirata ai limiti della tenuta, in cui tutto funziona alla perfezione: la
melodia satura di umori malinconici, la ritmica sostenuta da un pianoforte
martellante, le scariche noise di una chitarra percossa ferocemente, un sax
starnazzante a chiosare un brano dall’andamento imprevedibile. Se tutta la
scaletta fosse di questo livello potremmo parlare di capolavoro; inevitabilmente,
però, il tiro si abbassa un poco, anche se Combs riesce comunque a mantenere un
buon livello di scrittura, dosando il miele delle ballate e giocandosi
parecchie carte con arrangiamenti che fanno densità ma non soffocano mail il respiro
melodico della narrazione. Se molte sono le canzoni che parlano di sentimenti, Combs
riesce tuttavia a evitare l’infausto connubio cuore-amore, preferendo invece
esplorare il lato più oscuro delle relazioni affettive, esibendo un’estetica
romantica in cui prevalgono malinconia e sofferenza. Ecco, dunque, l’amore non
corrisposto in Hazel (“Oh Hazel, I dream each night about your
love”), il triste lamento per una storia finita male in Lauralee (“the bed that
you once shared with me, lies there like my enemy”), tema questo che ritorna
anche nella già citata What It Means To You (“It was good
the first time, but all good things must end”). Tre episodi che si muovono ai
confini del melò, in cui però il songwriter texano diluisce l’eccesso di
teatralità nel timbro colloquiale e sincero del suo cantato. Se le pene d’amore
e il modulo della ballata rappresentano il nucleo centrale della scaletta,
Combs non si dimentica di gettare anche un sguardo critico alle politiche
sociali della presidenza Trump nel beat insistente e nella chitarra strangolata
di Bourgeios King (“We’ll build a wall to block the enemy, build a wall to keep
us free”), di omaggiare gli eroi della stagione West Coast in Better Day e di
emulare Kurt Cobain nella riuscita Blood Hunters. Un disco, Canyons Of My Mind,
che conferma il talento musicale e vocale di un artista che sa coinvolgere a
livello emotivo e a cui manca davvero poco per entrare a far parte nel novero
dei più interessanti songwriters della sua generazione. Per il definitivo salto
di qualità chiedere a Sturgill Simpson e Parker Millsap.
VOTO:
7
Blackswan, 26/04/2017
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