Talvolta non conoscere i crediti di un disco può tornare
utile. Lo confesso, avessi saputo prima che a questo esordio dei Moonlandingz ha
collaborato Yoko Ono avrei passato la mano, senza approfondire e senza
rimpianti. Parafrasando il nome di una band danese: Oh No, Ono! E avrei
sbagliato, perché Interplanetary Class Classic
è uno dei gioiellini del 2017, sicuramente l’ascolto più spassoso che mi sia
capitato finora. Un disco folle e caleidoscopico, carico di rimandi alla New
Wave super contaminata che tra i ’70 e gli ’80 vivacizzò con mille “altri suoni”
la prima ondata Post-Punk. Riuscitissimo esercizio di stile in cui si cita, si
ruba e si restituisce in egual misura, operazione assimilabile, per intenti e
brillantezza di contenuti, ad altre band del presente come King Gizzard &
The Lizard Wizard e Deerhoof.
Ma, facciamo un passo indietro e vediamo di scoprire
chi sono i Moonlandingz. I nomi più noti sono quelli di Lias Saoudi (qui
accreditato come Johnny Rockets) e Saul Adamczewski, voce e chitarra dei Fat
White Family, Dean Honer e l’ex Fall Adrian Flanagan degli Eccentronic Research
Council, la bassista Mairead O'Connor e il batterista Ross Orton (Arctic
Monkeys). Poi, scorrendo la lista degli ospiti è impossibile trattenere un
sorriso: Phillip Oakey (Human League), Randy Jones (Village People), Rebecca Taylor
(Slow Club) e alcuni membri dei Black Lips. Producono l’album Dave Fridmann, prezzemolino
dell’Indie made in USA, e Sean Lennon nei suoi studi newyorkesi (ecco perché
Yoko). Un’accolita che più eterogenea non si potrebbe, vecchie glorie della
Disco, garagisti doc, abitudinari del Post-Punk e dell’Indie/Pop, tutti al servizio
del mattatore incontrastato dell’operazione Moonlandingz: l’indisponente,
eccessivo, libidinoso frontmen Lias Saoudi. Un personaggio davvero singolare:
esordi in stile Punk revival con i suoi Fat White Family, copertine sul NME,
premio come migliore band emergente, live act totalmente demenziali (Lias si
esibisce spesso completamente nudo mentre declina avvinghiato al microfono le
specialità della casa: strampalate teorie sui regimi dittatoriali e tutto il
catalogo delle devianze sessuali) infine, il flop, Songs For Our Mothers, sophomore del 2016 che avrebbe dovuto certificarne
la definitiva affermazione.
Interplanetary
Class Classic arriva quindi a questo punto della
carriera di Saoudi e della sua allegra combriccola ponendo solidissime basi per
un futuro che potrebbe risolversi al di fuori dalla band madre FWF. Staremo a
vedere. Come abbiamo già accennato il disco funziona magnificamente, laddove Songs For Our Mothers non convinceva per
compiutezza compositiva, qui ce ne d’avanzo e per tutti i gusti. Il trittico
iniziale stenderebbe chiunque: Vessels,
danza selvaggia ed ipnotica, sembra provenire da un Best Of dei Bauhaus, l’entusiasmante
Cyber/Pop di Sweet Saturn Mine ci regala
il primo riff inesorabile del disco con tanto di coretti a rafforzarne il
carattere ludico poi, giusto per confondere le acque, immediato cambio di
registro con l’avvolgente Psichedelia di Black
Hanz. Se si rumoreggiava in sala aspettando le buffonate di Lias Saoudi ora
l’attenzione è obbligatoria, tre canzoni, una più bella dell’altra. Il resto
della scaletta non delude con l’arrivo di altri pezzi straordinariamente evocativi:
l’Electro/Rock ossessivo di I.D.S., (vi
ricordate i D.A.F. di Der Mussolini?), il Pop ultra colorato dei B52’s (Neuf Du Pape), il Rockabilly urbano dei
Suicide (Glory Hole). Non solo, in Interplanetary Class Classic, è facile intenerirsi
in preda alla nostalgia quando partono The
Rabies Are Back e Lufthansa Man (i
Wall Of Voodoo ne andrebbero fieri), oppure l’incantevole ballata shoegaze The Strange Of Anna con il toccante interplay
vocale tra Lias e Rebecca Taylor. In coda al disco l’ultimo colpo al cuore: This City Undone in cui non si sbaglia a
tirare in ballo le articolate trame poliritmiche di Eno & Byrne. Insomma un
disco travolgente e torrenziale nelle sue influenze stilistiche che potrebbe
mettere d’accordo, una volta tanto, il pubblico generalista del mainstream e
quello delle collezioni infinite dei dischi in vinile, quando le novità
costavano diecimilalire e nelle bustone sorpresa poteva capitarti Nag Nag Nag dei Cabaret Voltaire.
VOTO: 8
Porter Stout, venerdì 14/04/2017
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