Cresciuta sotto
l’ala protettrice del chitarrista rock blues Mike Zito, suo mentore e
produttore, Samantha Fish ha iniziato a calcare i palchi nel 2009, mettendo in
piedi, insieme alle coetanee Cassie Taylor e Dani Wilde, il progetto Girls With
Guitars. Anni importanti, questi, che hanno permesso alla chitarrista
originaria di Kansas City di farsi conoscere come valente musicista e ottima
cantante e di dare l’abbrivio a una carriera solista, iniziata nel 2011 con la
pubblicazione dell’ottimo Runaways. In seguito, sono arrivati altri due dischi,
l’ultimo dei quali, Wild Heart (2015), prodotto questa volta dall’ex Black
Crowes, Luther Dickinson, ha fatto finire la Fish sui taccuini di molti
critici, che hanno visto in lei la new sensation del movimento rock blues al
femminile. Il nuovo Chills & Fever certifica ora il passaggio di Samantha
dallo status “di giovane artista da tenere d’occhio con attenzione” a quello di
musicista che ha finalmente dimostrato a tutti il proprio talento. Se il citato
Wild Heart aveva segnato un passaggio a sonorità più marcatamente roots rock,
discostandosi dai lavori precedenti marcati a fuoco da un’inclinazione naturale
per il blues, questo full lenght segna un ennesimo scarto rispetto al passato:
Memphis soul e Motown R&B, pur essendo sempre stati nelle corde della
giovane chitarrista, qui diventano per la prima volta la portata principale del
pranzo, facendo passare in secondo piano le sonorità a cui ci eravamo abituati.
Registrato a Detroit (buon sangue non mente), con la collaborazione della
garage band dei Detroit Cobras, Chills & Fever suona come un divertito
compendio di musica nera che la Fish recita con consapevolezza filologica e un
piglio da rocker che sfocia in viscerali assoli di chitarra. Si inizia con He
Did It, ruggito r’n’b capace di fondere sonorità retrò (i coretti di contorno
hanno radici lontane) coi fendenti di una chitarra garage e una voce che stende
per potenza ed estensione. Un pezzo vibrante, a cui fanno da contraltare le
sfumature jazzy e l’andamento sinuoso della title track, che strizza l’occhio a
Amy Winehouse e riporta al mood del bel disco d‘esordio di Ina Forsam, uscito
lo scorso anno.
Quando la Fish, poi, si misura con la cover di Hello Stranger
(l’originale è di Barbara Lewis e risale al 1963), dimostra di trovarsi a suo
agio anche con più moderne ed eleganti sonorità nu soul. Sono tante, però, le
frecce all’arco della Fish, che sa ipnotizzare col groove dinoccolato dello
swamp blues di It’s You Voodoo Working, che infiocchetta una splendida melodia
in Hurt’s All Gone, ammiccamento in chiave pop al songwriting dell’immensa
Laura Nyro, o che spinge l’acceleratore a tavoletta nel funky fulminante di You
Can’t Go. La lunga scaletta (sono ben quattordici le canzoni del lotto), è
contornata però anche di altri episodi degni di nota: il sax iniziale di Either
Way I Lose, ad esempio, suggerisce un omaggio al sound dei Morphine, in Never
Gonna Cry si respira l’aria spensierata degli ingenui anni sessanta, Nearer To
You è un ballatone tutto miele e liquerizia che illanguidisce il cuore, mentre
la cover tutta slide del traditional Crow Jane porta il suo passo cadenzato
dalle parti del North Mississippi. I’ll Come Running Over, plagio furbetto di
Everybody Needs Somedody dei Blues Brothers, chiude con un’iniezione di
giocosa energia un disco vario e divertente, che ci consegna, senza ombra di
dubbio, la miglior versione possibile di Samantha Fish.
VOTO: 8
Blackswan, sabato 15/04/2017
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