Metabolizzata l’abboffata
di riconoscimenti (prima piazza di Billboard 200, quattro CMA Awards nel 2015,
due Grammy Awards nel 2016) e di elogi (nella top ten di tutte le riviste che
si occupano di Americana) che avevano accompagnato l’uscita di Traveller, album
d’esordio di due anni fa, Chris Stapleton ha continuato a lavorare alla propria
musica con la stessa passione di sempre, come se tutto quel clamore non lo
riguardasse minimamente. D’altra parte, questo straordinario autore ha vissuto
la propria carriera sempre dietro le quinte, sfornando canzoni e hit per
colleghi più affermati. Un understatement, o basso profilo, vedete voi, che ha
permesso al songwriter originario di Lexington di non scendere a compromessi
con il successo e di mantenere la barra di una scrittura che fa della qualità
il suo punto di forza. Affiancato ancora dal suo mentore, Dave Cobb, acclamato
guru e Re Mida della scena country rock statunitense, Stapleton è tornato in
studio con parecchio materiale, in parte confluito in From A Room: Vol.1, e in
parte destinato a comporre la scaletta di un seguito che, a detta dello stesso
musicista, dovrebbe uscire verso la fine del 2017. Solo nove canzoni per una
durata complessiva di poco più di mezz’ora ribadiscono le intuizioni che
avevamo amato in Traveller: un suono asciutto e profondo, che guarda agli anni’70
e si ispira al movimento outlaw country, che conosce la geografia del
Mississippi, che aromatizza i brani con un retrogusto di bourbon, che possiede una
genetica profondamente soul. Stapleton non sbaglia una canzone, e se anche è
ormai venuto meno l’affetto sorpresa che aveva fatto gridare al miracolo due
anni fa, l’irsuto chitarrista conferma che quel patrimonio di emozioni, quel
suono coeso, quello sguardo romantico e appassionato sulla terra d’America non sono
venuti meno. Il country rock in purezza dell’opener Broken Halos rappresenta quasi
un pamphlet dello Stapleton pensiero: una ballad elettro-acustica che in mani
altrui suonerebbe risaputa, diventa un gioiello di essenzialità stilistica, con
la voce carica di soul di Chris, artiglio che arpiona l’anima, e lo spirito
indomito di una corsa in auto verso l’orizzonte, i capelli al vento e il cuore
gonfio di attese. Semplicemente splendida. Ed è solo l’inizio, perché in
scaletta ci sono solo grandi canzoni, a partire dalla successiva Last Thing I
Needed, First Thing This Morning, con l’armonica di Mickey Raphael a tracciare
la strada di un country soul che evoca emozioni antiche. Le stesse che emergono
durante l’ascolto di Up To No Good Livin’, figlia di un’osmosi sonora che rinsalda
la linea temporale e cromosomica fra Chris Stapleton e Waylon Jennings. Se con Second
One To Know, discendente in linea diretta di Sweet Home Alabama dei Lynyrd
Skynyrd, Stapleton sfodera quel ringhio rock tenuto spesso nelle retrovie, con
I Was Wrong, ballata assassina che manda ko fin dal primo ascolto, il nostro sfodera
quell’intensità interpretativa soul che è il segno distintivo della sua musica.
Una musica umorale, che rilegge la tradizione mettendo però l’accento sul
pathos, e che sa trovare la grazia di melodie ad alto tasso di romanticismo
(Without Your Love e quel giro di chitarra rubato a Paranoid Android dei
Radiohead) o il passo lento e bluesato della conclusiva Death Row, down tempo
cupo, notturno, polveroso. Se è vero quel detto per cui il secondo disco è il
più difficile nella carriera di un artista, Stapleton ha vinto la sfida a pieni
voti, eguagliando per bellezza il suo fortunato esordio. Se prima avevamo il
sospetto di essere di fronte a uno dei più grandi interpreti del movimento
country rock, ora ne abbiamo la certezza.
VOTO: 8
Blackswan, sabato 10/06/2017
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