giovedì 29 giugno 2017

JASON ISBELL & THE 400 UNIT – THE NASHVILLE SOUND (Southeastern Records, 2017)



Uscire dal tunnel e rivedere la luce. Potremmo riassumere così la storia recente di Jason Isbell, che una feroce dipendenza da droghe e alcool aveva spinto sull’orlo del baratro. Poi, una lenta ma inarrestabile resurrezione, grazie anche al matrimonio con Amanda Shires, songwriter e violinista, che l’ha accompagnato e sostenuto nel difficile percorso verso la salvezza. Oggi, dopo quattro anni dall’acclamato Southeastern del 2013, uno dei dischi di americana più belli di quell’anno, e a due dal seguito Something More Than Free, datato 2015, l’ex Drive-by Truckers torna sulle scene con un nuovo album, condividendo lo studio con i 400 Unit, la band con cui nel 2009 aveva rilasciato il suo secondo album solista. Derry Deborja (tastiere), Chad Gamble (batteria), Jimbo Hart (basso), Sadler Vaden (chitarra elettrica e, ovviamente, Amanda Shires (violino e voce) sono il combo rodatissimo grazie al quale Isbell sforna uno dei suoi dischi migliori di sempre, esibendo quel piglio rock spesso tenuto al guinzaglio di un songwriting votato alla malinconia. Ecco, allora, Cumberland Gap, primo singolo estratto e sferragliante up tempo, che prende esplicitamente ispirazione dal mitico album di Steve Earle, Copperhead Road. Un brano con le chitarre a vele spiegate, che sembra affrontare i problemi di alcolismo da cui Isbell è uscito brillantemente già da qualche anno, ma che, in realtà, come era stato per il brano di Earle, racconta anche il senso di disperazione che pervade l’America rurale, con particolare riferimento, nello specifico, alle comunità scozzesi e irlandesi degli Appalachi. Vibrazioni elettriche che attraversano anche Anxiety, canzone sulla paura di perdere tutto quello che, a fatica, abbiamo conquistato, il cui saliscendi emotivo è segnato dalle bordate della sei corde, strapazzata in un finale in odore di epica. C’è poi l’Isbell che conosciamo, quello delle ballate elettroacustiche dolcemente tristi, come l’opener Last Of My Kind, malinconico affresco di americana in purezza, o il country rock in chiave soul di Tupelo. In White Man’s World, canzone marchiata Muscle Shoals, risuonano le origini sudiste del somgwriter originario di Green Hill e viene affrontato il tema socio-politico dell’emarginazione delle donne, dei neri e dei nativi americani, i cui diritti sono stritolati in un mondo fatto a misura per l’uomo bianco (la polemica con l’amministrazione Trump è evidente). Se Chaos & Clothes è un omaggio col cuore in mano alla musica di Elliott Smith, la conclusiva Something To Love, delicata ballata country scritta per la propria figlia Mercy Rose, chiude splendidamente l’ennesimo grande disco del redivivo Isbell. A fianco del quale, l’immancabile Dave Coob, cesella con un lavoro di produzione impeccabile il nuovo suono di Nashville, che, strano a dirsi, è decisamente più rock che roots. 

VOTO: 8





Blackswan, giovedì 29/06/2017

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