I
Low Cut Connie arrivano da Philadelphia e hanno già all’attivo tre
dischi, di cui la stampa specializzata ha parlato un gran bene.
Soprattutto perché il quintetto quando sale sul palco è a dir poco
travolgente: capitanati da Adam Weiner, un novello Jerry Lee Lewis che
suona un pianoforte chiamato Shondra, i Low Cut Connie non fanno
prigionieri, tanto che Dan Weiss, firma musicale prestigiosa del Los
Angeles Weekly, ha definito i loro show di una ferocia che non ha eguali
al mondo. Band revivalista, vengo spesso etichettati come band che
guarda alla stagione d’oro del rock’n’roll anni ’50. La qual cosa è vera
solo in parte, visto che, come avviene in questo nuovo Dirty Pictures, i
ragazzi di Philadelphia prendono ispirazione, senza farsi troppi
problemi, da tutta la storia del rock. Il loro merito, però, è quello di
evitare ogni stucchevole passatismo, rileggendo con modernità la musica
dei mostri sacri e rendendo nuovamente entusiasmante una materia
importante, ma la cui pedissequa rilettura sarebbe del tutto inutile.
Registrato presso gli Ardent Studios di Memphis, Dirty Pictures è un
disco è un disco breve (dura poco più di mezz’ora) ma che riesce a dire
tutto ciò che si è prefissato, centrando perfettamente l’obbiettivo,
senza fronzoli e inutili fillers. Si parte con Revolution Rock’n’Roll
che, ha dispetto del titolo, è invece un brano venato di gospel con un
ritornello furbissimo che acchiappa fin dal primo ascolto. Dirty Water e Death And Destruction
confermano la nomea di rock’n’roll band dei Low Cut Connie e rileggono
con piglio sbarazzino quella musica che proprio a Memphis era nata tanti
anni fa. Il disco trabocca, poi, di citazioni, a volte al limite del
plagio, ma proposte con una sfrontatezza guascona che rende tutto
credibile. Il riff rock blues di Love Life è il figliastro funky coloured di Cocaine, versione Eric Clapton; Am I Wrong? fa clamorosamente il verso agli Animals di We Gotta Get Out Of This Place mentre il funkettino di Controversy sembra uscita da un disco degli INXS. C’è ancora spazio per la conclusiva What Size Shoe presa di distanza dalle politiche estere degli States (Ain't this the United States/Ain't this the home of the brave?) e Montreal, ballata per pianoforte che ha fra i suoi parenti stretti Thirteen
dei Big Star (che guarda caso, proprio agli Ardent Studios di Memphis
hanno scritto pagine immortali). Dirty Pictures è, dunque, un disco
vario e divertente, che guarda al passato, plasmandolo però a uso e
consumo delle orecchie di tanti giovani che non sanno quanta bella
musica si può trovare nei dischi di papà e (del nonno). Un modo leggero e
intelligente di riappropriarsi e divulgare le radici del rock.
VOTO: 7
Blackswan, venerdì 08/09/2017
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