sabato 25 novembre 2017

JOEL SELVIN - THE ROLLING STONES ALTAMONT (Hoepli, 2017)

Leggere il resoconto di ciò che avvenne il 6 dicembre 1969 all’Altamont Raceway Park è più o meno come leggere un bollettino di guerra. Già, perché quella frase che gli americani usano per indicare il 3 febbraio del 1959 (The Day That Rock Die), data di morte di Buddy Holly, The Big Bopper e Ritchie Valens, il cui aereo si schiantò a Mason City, nello Iowa, può tranquillamente essere riadattata al giorno del free concert californiano fortemente voluto dai Rolling Stones.  Ad Altamont, il rock, così come lo si conosceva, muore colpito alle spalle dai fendenti che massacrarono il corpo dello sfortunato Meredith Hunter. E’ la fine di un’epoca, il sogno di un mondo migliore si trasforma in un incubo, la summer of love che aveva animato la gioventù americana e che aveva trovato la sua espressione zenitale, qualche mese prima, a Woodstock, si infrange contro l’insulsa mattanza perpetrata selvaggiamente dagli Hells Angels. Se pochi mesi prima, nelle campagne vicino a Bethel, si era celebrato il rituale di una musica che prendeva per mano i giovani americani, raccontandogli una favola di fratellanza, comunione e amore, quella stessa gioventù, ad Altamont, si trova a fare i conti con la disillusione e lo sgretolamento degli ideali “peace and love”, che in quell’autodromo vennero stritolati in un’esiziale morsa di violenza. Il rock perse la sua purezza e la sua verginità in nome delle logiche dello star system, aprendo un decennio, quello degli anni ’70, in cui l’immediatezza, la visione e i fermenti avanguardistici vennero azzerati dalle ferree regole dello showbiz: quel movimento, grezzo e sincero, quel rock che avrebbe dovuto cambiare il mondo, si inginocchia, invece, davanti a Dio Denaro e a una concezione in cui la musica rappresenta solo uno degli ingranaggi della macchina spettacolo (grandi produzioni sul palco, materiali scenici, coreografie, l’intrattenimento che prende il posto del contenuto). Sono queste, almeno in parte, le logiche che produssero l’evento più sgangherato e funesto della storia (in seguito, ci saranno altri concerti disastrosi e altri morti, certo, ma mai provocati da tanta imbarazzante stupidità). Trecentomila persone mandate al macello, senza adeguati supporti logistici e medici, con l’unico argine della security data in mano agli Hells Angels, gang incontrollabile di teppisti, picchiatori e tossici. Selvin racconta scrupolosamente cosa accadde quel 6 dicembre, sul palco e tra la folla, ripercorre le tappe che portarono al brutale omicidio di Meredith Hunter, e inchioda i responsabili dell’evento (Rolling Stones in primis) alla demenzialità della location scelta e all’insussistenza delle più ovvie misure di sicurezza. C’è dell’altro, però, che rende questa lettura indispensabile per tutti gli appassionati di musica. Selvin, infatti, ricostruisce con dovizia di particolari la San Francisco del tempo, il movimento hippy e il suo progressivo indebolimento, entrando a curiosare anche a casa Grateful Dead, band che rappresentava al meglio gli umori della città e i fermenti dell’epoca. Non solo. La precisa ricostruzione di Selvin mette in discussione uno dei capisaldi della cinematografia musicale, e cioè quel Gimme Shelter girato dai fratelli Maysles e fortemente voluto da Mike Jagger, il cui montaggio finale, più che per raccontare la verità dei fatti, ebbe semmai intenti agiografici nei confronti dei Rolling Stones. Già, i Rolling Stones. Il resoconto di Selvin sulla band capitanata da Jagger e Richards è impietoso: avidi e senza scrupoli, animati solo da brama di gloria e di denaro, inconsapevoli della realtà circostante, compressi nel mondo dorato delle loro vita da rockstar, sono loro i principali responsabili del disastro. Perché accettarono una location inadatta solo allo scopo di replicare la marea umana di Woodstock, perché continuarono a suonare nonostante gli orrori perpetrati dagli Hells Angels, e perché se ne infischiarono bellamente di quelle trecentomila persone, accalcate una sull’altra, in balia di una security di picchiatori di professione, e stravolte da quantitativi industriali di pessimo LSD e di vino anche peggiore. C’è poi quel palco troppo basso, tenuto insieme (letteralmente!) con lo spago e quell’elicottero che, forse, avrebbe potuto salvare la vita a Meredith Hunter, ma che i Rolling Stones si guardarono bene dal concedere, per poter poi, a fine concerto, evacuare in sicurezza la folle location. Un libro consigliatissimo per tutti coloro che vogliono fare definitiva chiarezza su una delle pagine più oscure e imbarazzanti della carriera di Mike Jagger e soci.






Blackswan, sabato 25/11/2017

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