Leggere
il resoconto di ciò che avvenne il 6 dicembre 1969 all’Altamont Raceway
Park è più o meno come leggere un bollettino di guerra. Già, perché
quella frase che gli americani usano per indicare il 3 febbraio del 1959
(The Day That Rock Die), data di morte di Buddy Holly, The Big
Bopper e Ritchie Valens, il cui aereo si schiantò a Mason City, nello
Iowa, può tranquillamente essere riadattata al giorno del free concert
californiano fortemente voluto dai Rolling Stones. Ad Altamont, il
rock, così come lo si conosceva, muore colpito alle spalle dai fendenti
che massacrarono il corpo dello sfortunato Meredith Hunter. E’ la fine
di un’epoca, il sogno di un mondo migliore si trasforma in un incubo, la
summer of love che aveva animato la gioventù americana e che
aveva trovato la sua espressione zenitale, qualche mese prima, a
Woodstock, si infrange contro l’insulsa mattanza perpetrata
selvaggiamente dagli Hells Angels. Se pochi mesi prima, nelle campagne
vicino a Bethel, si era celebrato il rituale di una musica che prendeva
per mano i giovani americani, raccontandogli una favola di fratellanza,
comunione e amore, quella stessa gioventù, ad Altamont, si trova a fare i
conti con la disillusione e lo sgretolamento degli ideali “peace and love”,
che in quell’autodromo vennero stritolati in un’esiziale morsa di
violenza. Il rock perse la sua purezza e la sua verginità in nome delle
logiche dello star system, aprendo un decennio, quello degli anni ’70,
in cui l’immediatezza, la visione e i fermenti avanguardistici vennero
azzerati dalle ferree regole dello showbiz: quel movimento, grezzo e
sincero, quel rock che avrebbe dovuto cambiare il mondo, si inginocchia,
invece, davanti a Dio Denaro e a una concezione in cui la musica
rappresenta solo uno degli ingranaggi della macchina spettacolo (grandi
produzioni sul palco, materiali scenici, coreografie, l’intrattenimento
che prende il posto del contenuto). Sono queste, almeno in parte, le
logiche che produssero l’evento più sgangherato e funesto della storia
(in seguito, ci saranno altri concerti disastrosi e altri morti, certo,
ma mai provocati da tanta imbarazzante stupidità). Trecentomila persone
mandate al macello, senza adeguati supporti logistici e medici, con
l’unico argine della security data in mano agli Hells Angels, gang
incontrollabile di teppisti, picchiatori e tossici. Selvin racconta
scrupolosamente cosa accadde quel 6 dicembre, sul palco e tra la folla,
ripercorre le tappe che portarono al brutale omicidio di Meredith
Hunter, e inchioda i responsabili dell’evento (Rolling Stones in primis)
alla demenzialità della location scelta e all’insussistenza delle più
ovvie misure di sicurezza. C’è dell’altro, però, che rende questa
lettura indispensabile per tutti gli appassionati di musica. Selvin,
infatti, ricostruisce con dovizia di particolari la San Francisco del
tempo, il movimento hippy e il suo progressivo indebolimento, entrando a
curiosare anche a casa Grateful Dead, band che rappresentava al meglio
gli umori della città e i fermenti dell’epoca. Non solo. La precisa
ricostruzione di Selvin mette in discussione uno dei capisaldi della
cinematografia musicale, e cioè quel Gimme Shelter girato dai
fratelli Maysles e fortemente voluto da Mike Jagger, il cui montaggio
finale, più che per raccontare la verità dei fatti, ebbe semmai intenti
agiografici nei confronti dei Rolling Stones. Già, i Rolling Stones. Il
resoconto di Selvin sulla band capitanata da Jagger e Richards è
impietoso: avidi e senza scrupoli, animati solo da brama di gloria e di
denaro, inconsapevoli della realtà circostante, compressi nel mondo
dorato delle loro vita da rockstar, sono loro i principali responsabili
del disastro. Perché accettarono una location inadatta solo allo scopo
di replicare la marea umana di Woodstock, perché continuarono a suonare
nonostante gli orrori perpetrati dagli Hells Angels, e perché se ne
infischiarono bellamente di quelle trecentomila persone, accalcate una
sull’altra, in balia di una security di picchiatori di professione, e
stravolte da quantitativi industriali di pessimo LSD e di vino anche
peggiore. C’è poi quel palco troppo basso, tenuto insieme
(letteralmente!) con lo spago e quell’elicottero che, forse, avrebbe
potuto salvare la vita a Meredith Hunter, ma che i Rolling Stones si
guardarono bene dal concedere, per poter poi, a fine concerto, evacuare
in sicurezza la folle location. Un libro consigliatissimo per tutti
coloro che vogliono fare definitiva chiarezza su una delle pagine più
oscure e imbarazzanti della carriera di Mike Jagger e soci.
Blackswan, sabato 25/11/2017
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