"Mi
vergognerei a voler fare il leader del Paese, quando sa l'italiano peggio di
me...Sa quante ne sento io di fregnacce da certi professori e anche dai 5
Stelle che ce ne sono parecchi qui al Senato, che poi si mettono a ridere
tutti...Quello, quando cazzo ha lavorato?" (Antonio Razzi).
Questa è la
sgangherata (e sgrammaticata) considerazione del senatore Razzi, ormai ex, su
Luigi Di Maio. Nulla di nuovo sul fronte occidentale, direbbe qualcuno. Peccato
però che di fregnacce ne sentiamo parecchie anche noi, caro Razzi. Con la
differenza che ci viene da piangere. A cominciare da Silvietto, l'incandidabile
che si candida con buona pace (o alla faccia, se preferite) della Corte di
Strasburgo, dell'Unione Europea tutta e di quegli italiani (tanti, si spera)
che hanno ancora un po' di sale in zucca da non farsi abbindolare
dall'incantatore di Arcore e dall'accozzaglia Salvini-Meloni. Ci viene perlopiù
da singhiozzare, quando assistiamo impotenti all'arroganza straripante di un
Matteo Renzi mai resipiscente, alle sparate e e alle disparate promesse da
parte di tutti gli attori politici di abolizione di tasse, balzelli, lacci,
lacciuoli, canoni, bolli e amenità assortite in grado di sedurre solo qualche
allocco o qualche elettore sprovveduto. Come se tutta questa visionaria
mistificazione sventolata a reti unificate non avesse un prezzo. Altro che scie
chimiche, qui si vaneggia, signori miei. Roba forte che metterebbe in
difficoltà perfino un appassionato della filmografia di David Cronenberg. E
mentre le fregnacce ci invadono come acari, il gigante cinese avanza e
l'America riparte. Almeno, così dicono. Noi, invece, restiamo al palo ancora
con Silvio, i suoi miracoli e quei mirabolanti fogli in mano branditi come una
spada.
Cleopatra, lunedì
29/01/2018
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