Inglese
del Leicestershire, James Maddock ha scelto di trasferirsi a vivere
negli States a inizio millennio, proprio come fece quasi cinquant’anni
fa Graham Nash, che si trasferì dall‘Inghilterra in California per
incontrare l’amore (Joni Mitchell). Maddock, invece, è fuggito da casa
per curare le ferite di una storia che gli aveva spezzato il cuore,
cercando in un nuovo paese e in una nuova esperienza di vita, la forza
per rielaborare il dolore.
A
entrambi, il cambiamento ha giovato ed è stato l’inizio di un percorso
artistico ricco di successo e di soddisfazioni. Maddock ora è di casa a
New York, città che adora, che racconta in bellissime canzoni (andatevi a
recuperare l’ottimo Sunrise On Avenue C. del 2010), e che gli
ha letteralmente rubato non solo l’anima, ma anche i modi e i costumi,
tanto che oggi il cantautore inglese può essere considerato newyorkese a
tutti gli effetti e non, invece, un “English Man In New York”.
Difficile
parlare male di questo uomo schietto e simpatico, di questo cantautore
prolifico e appassionato crooner di ballate folk rock cantate col cuore
in mano. Eppure, in passato, quando lo ritenevamo corretto, non gli
abbiamo lesinato critiche, a cagione di una scrittura, spesso centrata e
seducente, ma che, a tratti, invece, diveniva vittima (inconsapevole)
di un eccesso di zuccheri e di sbandate verso un suono radiofonico privo
di spessore (un disco per tutti: The Green del 2015).
Sia
ben inteso: non stiamo parlando del classico furbetto che piega la sua
arte alle ragioni del portafoglio. Maddock è, invece, un artista sincero
e appassionato, uno che mette il cuore in quello che fa, forse anche
troppo. Perennemente innamorato, nel senso più alto e omnicomprensivo
del termine, il cinquantacinquenne musicista britannico, talvolta ha
perso il bandolo della matassa, eccedendo in romanticismo e leziosi
arrangiamenti, e rovinando canzoni che, ripulite da zuccherini fronzoli,
avrebbero meritato ben altro destino.
Con Insanity Vs. Humanity
(sorvoliamo sul titolo e sulla copertina non proprio accattivanti),
Maddock sembra aver ripreso saldamente in mano le redini del proprio
songwriting, eliminato il surplus di sentimentalismo e trovato il giusto
equilibrio fra sobrietà espressiva e melodia. Ne consegue che questo
ultimo lavoro, il decimo per la precisione, risulta il suo migliore fin
dai tempi del citato Sunrise On Avenue C.
Undici
canzoni (due bonus tracks nella versione cd) adulte e strutturate,
misurate nell’accostare folk, pop e rock, pianoforte e chitarre, e testi
(benedetta Appaloosa che inserisce nel booklet anche la traduzione in
italiano!) che affrontano tanto temi amorosi (Leave Me Down) quanto
analisi politiche e sociali (I Can’t Settle, la title track con un duro riferimento a Dick Cheney).
Tra gli high lights, il pimpante uno-due posto all’inizio di scaletta (le ottime I Can’t Settle e Watch It Burn), la contagiosa What The Elephants Knows, l’incedere intenso e malinconico di November Tale, l’amara riflessione sul mondo che cambia (in peggio) di Nearest Thing To Hip e l’omaggio divertito ai grandi campioni del rock, contenuto nella caracollante The Old Rocker.
Fairytale Of Love,
che gioca con i titoli delle fiabe per raccontare l’intensità di una
storia d’amore, è la romantica conclusione di un disco in cui Maddock,
pur non rinunciando alla propria inclinazione da crooner appassionato e
malinconico, asciuga i suoni e tiene dritta la barra delle emozioni.
Elementi, questi, che da sempre contraddistinguono il romanticismo dalle
svenevolezza del sentimentalismo.
VOTO: 7
Blackswan, sabato 13/01/2018
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