Lo
sterminato sottobosco rurale americano produce spesso artisti di grande
caratura, che restano però appannaggio esclusivo di una ristretta
cerchia di appassionati. Questo sarebbe stato probabilmente anche il
destino Thom Chacon, se non ci fosse stata Appaloosa Records, traghetto
musicale fra gli States e il nostro paese, che ha distribuito sul
territorio nazionale Blood In The Usa, opera seconda del songwriter
proveniente dal Colorado.
Una
scelta azzeccatissima visto che questo disco farà la felicità di quanti
amano il suo americano più classico. Chacon, infatti, si allinea alla
grande tradizione dei cantautori di frontiera (su tutti mi vengono in
mente Ryan Bingham e Joe Ely), così come appare ovvio che fra i suoi
riferimenti culturali e stilistici possano annoverarsi Bob Dylan, John
Prine, Johnny Cash (soprattutto quello degli American Recordings) e lo
Springsteen di Nebraska.
Blood
In The Usa è una raccolta di canzoni polverose, crude, dirette,
intrecciate con la corda grezza di arrangiamenti minimali ma solidi, a
cui la raucedine crooner della bella voce di Chacon attribuisce un’aura
di epicità.
Non
certo l’epica dei grandi spazi, della natura selvaggia o delle
avventure on the road, tanto per citare la più ovvia iconografia
tradizionale sugli States; Chacon racconta, invece, un America più
attuale, ferita e sofferente, l’America dei diseredati, dei disoccupati e
degli immigrati, un paese dove la vita cammina sul confine della
disperazione, quando devi sbarcare il lunario zappando campi o sudando
davanti a una catena di montaggio.
Testi
crudi e tristi, in cui le esistenze dei protagonisti sono divorate da
“una ruggine che non dorme mai” e la speranza affiora solo a tratti,
come null’ultima ballata Big As The Moon, che evoca un amore capace di lenire le sofferenze della vita (“Hai un cuore grande come la luna, hai una luce che uccide tutta la tristezza”). E’ un solo episodio, però, in un filotto di canzoni dirette e intense, che parlano di immigrazione (I Am An Immigrant guarda al Messico e alle politiche trumpiane), di crisi del lavoro (le fabbriche che chiudono e la disoccupazione in Union Town), di razzismo (la title track, legata a doppio filo con la cronaca violenta che non smette di riempire i notiziari: “si spara alla gente per il colore della sua pelle, abbattuti, ammanettati, lasciati morire”) e delle croste di pan duro che deve mangiare chi è disposto a ogni lavoro pur di sopravvivere (Work At Hand).
Chacon possiede una scrittura sincera e capace di esaltare alcuni momenti melodici di rara suggestione (Something The Heart Can Only Know),
anche se musicalmente, pur non demeritando, manca di una certa
originalità. Per converso, sotto il profilo testuale, i suoi versi sono
lirici e potenti, e si elevano di gran lunga sopra la media di quello
che ascoltiamo (e leggiamo) normalmente. Consigliatissimo.
VOTO: 7
Blackswan, venerdì 16/02/2017
2 commenti:
L'ho conosciuto il mese scorso quando ha suonato a Cantù e ho anche cenato con lui. Davvero una bella persona e un buon cantante. i suoi 2 albums mi piacciono.
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