Marty
O’Reilly e la sua Old Soul Orchestra sono talmente bravi e questo disco
è talmente bello, che bisognerebbe decretarne l’ascolto per legge, urbi
et orbi. Invece, ci troviamo di fronte al classico artista di nicchia,
da noi, peraltro, praticamente sconosciuto, che in patria si sta
conquistando lentamente l’attenzione della critica, grazie alla qualità
della sua proposta.
La
verità è che Stereoscope (secondo disco in carriera, dopo l’ottimo
Preach ‘Em Now del 2015), è un disco tutt’altro che facile, che richiede
numerosi ascolti per riuscire ad assimilarlo in tutte le sue sfumature,
che sono poi quelle che, nello specifico, fanno la differenza. Il punto
di partenza è il roots, in un’accezione più propriamente folk. Chi
pensa, però, di trovarsi di fronte al classico disco dal suono
americano, rimarrà sconcertato fin dal primo ascolto.
In
tal senso, O’Reilly è forse più un artista dalla sensibilità europea, e
al linguaggio diretto e ruspante di tanti colleghi che si cimentano con
la stessa materia, preferisce eludere o suggestionare l’ascoltatore,
blandirlo attraverso trame musicali complesse e ardite, in cui nulla è
dato per scontato.
Stereoscope,
se mi si concede una metafora pittorica, è un grande trompe l’oil, che
trae l’orecchio in inganno, convincendo l’ascoltatore di trovarsi di
fronte a ben definite trame armoniche che, poi, dopo poco, evaporano,
confluendo in qualcosa di completamente diverso. Approcciarsi a questa
scaletta è, quindi, come addentrarsi in una selva lussureggiante, il cui
intrico è dato da imprevedibili arrangiamenti e da uno straniante
meltin’ pop di generi in cui confluiscono folk, blues, psichedelia, rock
e jazz in un’unica conturbante forza espressiva, che gli anglosassoni
chiamerebbero soulfulness.
Il
tutto è reso ancor più spiazzante dalla voce di O’Reilly, ora morbida,
ora arrochita e grintosa, e da un timbro che ricorda un Jeff Buckley che
preferisce volare radente il terreno invece che puntare dritto alle
stelle.
C’è
da dire che avere alle spalle un band come i The Old Soul Orchestra,
farebbe la differenza anche con un repertorio di canzoncine pop. Ad
accompagnare Marty (che oltre a cantare si cimenta con le chitarre:
resofonica, acustica, elettrica), ci sono, infatti, tre musicisti di
straordinaria caratura tecnica: Chris Lynch, che trafigge i brani con il
suo violino lancinante, Ben Berry, il cui contrabbasso crea
architetture puntute e penetranti, e soprattutto Matt Goff, batterista
dall’evidente dna jazz, che attraversa la scaletta con il suo drumming
sincopato e in controtempo, aprendo vertigini percussive da capogiro.
Se
la cifra estetica del disco è di qualità altissima, e l’inclinazione
naturale della band è quella di spingere verso l’improvvisazione
jammistica, non sono da meno le canzoni, tutte di ottima fattura, tutte
attraversate da uno stordente pathos. Non c’è un solo filler o un
momento che non valga la pena di essere ricordato, tanto che scegliere
un brano al posto di un altro, è come far torto a un’opera la cui forza
sta proprio nella sua visione olistica.
Tuttavia, per invogliare ulteriormente all’ascolto, si potrebbe citare l’iniziale Firmament,
la cui melodia scivola, come le dita di Marty sul manico della
chitarra, verso una coda strumentale funambolica, o i deragliamenti
strumentali dell’intricata e bellissima Hard Time Killing Floor, o, infine, Fish In A Rut,
saliscendi emozionale fra una trama ritmica ossuta e improvvise
esplosioni innescate dai tamburi in controtempo di Goff, mentre la voce
di Marty e una dolente melodia riportano in vita le suggestioni di
Grace.
E
potrei continuare per tutte le restanti otto canzoni, una più bella
dell’altra, ma mi fermo qui. Perché, come dicevo, il valore del disco
vive nella sua unitarietà, e l’ascolto non può essere in alcun modo
frazionato. Qualora, dunque, vi decideste all’acquisto dell’album,
mettetevi comodi e ascoltate Stereoscope dall’inizio alla fine, più
volte, fino a quando ogni singola nota avrà svelato lo splendore di
questa musica che è tutto e il suo contrario, che è free e post, e che,
sostanzialmente, risulta inafferrabile, almeno fino a quando non farà
parte di voi.
VOTO: 9
Blackswan, lunedì 19/03/2018
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