Se
In Bloom sarà premiato, in termini di critica e di vendite, come uno
dei dischi pop più interessanti del 2018, è prematuro per dirlo, visto
che è stato pubblicato da pochissimo. E’, tuttavia, evidente che Grant,
singer songwriter originaria di Stoccolma, Svezia, ha tutte le carte in
regola per fare grandi cose e aggiudicarsi un posto di primo piano fra
gli artisti esordienti dell’anno.
Che avesse stoffa, lo avevamo già intuito alla fine dello scorso 2017, quando venne pubblicato Waterline,
singolo che oggi trova spazio anche in questo full lenght, e che
inchiodava a ripetuti ascolti grazie a un’interpretazione sincera e a un
ritornello mozzafiato. Una canzone così ha creato notevoli aspettative
sul lavoro di Grant, e la curiosità di vedere se, anche sulla lunga
distanza, riuscisse a mantenere un tale livello di qualità.
E’ bastato, in realtà, un solo altro singolo a fugare ogni dubbio sul talento di questa giovane ragazza svedese. Perché Catcher In The Rye
(titolo che evoca il capolavoro di Salinger, Il Giovane Holden) è una
canzone dal tiro pazzesco, un brano pop dance accattivante e
orecchiabilissimo, che si distingue dalla media di genere grazie a un
arrangiamento suntuoso.
A
prescindere, però, da questi due ottimi episodi, concepiti
evidentemente per aggredire il mercato e trainare le vendite dell’album,
sono molte le frecce all’arco di Grant, che dimostra di manipolare la
materia con estro e agilità, disseminando le dieci canzoni in scaletta
di intuizioni originali e citazioni importanti, e plasmando un suono
raffinato, moderno, molto radiofonico, ma mai stucchevole.
L’iniziale Lighthouse
è costruita su un’incisiva orchestrazione d’archi e di ottoni ed è
attraversata da un mood malinconico che richiama alla memoria
inevitabilmente Lana Del Rey: brano d’atmosfera, molto intenso, che
introduce nel miglior modo possibile una scaletta la cui chiave di
lettura è la varietà.
Così, Wicked, ad esempio, rigenera con gusto moderno antichi echi “bristoliani”, mentre con la melodrammatica Gone, Grant veste i panni della dark lady, e in Lightyears si misura egregiamente con il nu soul. Il disco, poi, si chiude con due autentiche gemme: Gravity’s Rainbow,
dolcissima ballata che tocca il cuore grazie a una melodia sincera e
diretta, giocando sul contrappunto di una ritmica marziale, quasi
militaresca, e Cold War, il brano più intimo e raccolto
dell’intero album, in cui Grant mette a nudo la bellezza della propria
voce e porge all’ascoltatore senza più mediazioni quella verace
intensità che anima l’intera scaletta.
In
Bloom è un disco che arriva immediatamente, grazie a melodie di
facilissima presa e a un appeal che, come si diceva, è molto
radiofonico. E’ un’opera coesa, riuscita e centrata nella sua
indiscutibile modernità. Eppure, il meglio arriva dopo svariati ascolti,
quando sotto il linguaggio universale del pop, sotto le spoglie di
un’apparente semplicità, affiora un mondo complesso di umori, idee e
palpiti, che rappresentano le mille sfaccettature di una donna e di
un’artista capace di sorprendere e di lasciare l’ascoltatore più
intrigato che mai.
VOTO: 7,5
Blackswan, venerdì 15/06/2018
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