Quella
di Tori Forsyth è una storia recente, iniziata solo nell’inverno del
2015, quando questa giovanissima ragazza, nata e cresciuta nel New South
Wales, regione collocata sulla costa est dell’Australia, decide di
suonare per la prima volta in pubblico le proprie canzoni, nate per
musicare una raccolta di poesie, da lei stessa scritte, intitolate
Johnny & June e dedicate alle figure di Johnny Cash e June Carter.
Una
serata che le ha cambiato la vita, svoltasi davanti a poche dozzine di
persone in un locale di Gosford, dove un veterano della musica country,
quale Bill Chambers, organizzava regolarmente delle jam night.
Un’esperienza che la Forsyth ricorda con queste parole: “It was
probably the perfect place for me to sing my first original song in
public. It was really relaxed; everyone was supportive and there to hear
people’s original music, not just covers at the local pub.”
L’incontro
con Bill Chambers e con altri musicisti locali ha, poi, permesso a
Tori, verso la fine del 2015, di registrare nei Soundhole Studios di
Shane Nicholson, sotto la supervisione di Trent Crawford, il suo primo
Ep, intitolato Black Bird. E siccome Shane Nicholson, che è una
delle figura chiave del country australiano, si è innamorato della
musica della Forsyth, da lì a firmare con l’etichetta Lost Highway
Australia (la stessa etichetta di Nicholson) è stato un attimo.
Questa, per sommi capi, la genesi che portato alla pubblicazione di Dawn Of The Dark,
un full lenght che supera le più rosee aspettative, visto che siamo di
fronte a un’esordiente, e in cui la Forsyth dimostra già di avere,
nonostante la giovanissima età, un songwriting personale e ricco di
spunti interessanti. Se il disco si colloca in tutta evidenza in quel
genere che potremmo definire alt-country, le dodici canzoni in scaletta,
nelle quali si fa largo uso di strumenti tradizionali (violino, banjo,
lap steel, etc), evidenziano però la capacità di mischiare un po’ le
carte, con incursioni nel rock e nel pop.
Una
musica che, sebbene in qualche episodio suoni anche mainstream,
fortunatamente non scade mai in banalità e svenevolezze. Anzi. La
scaletta è percorsa da un mood amarissimo, da atmosfere cariche di ugge,
da paesaggi ombrosi e da ambientazioni al limite fra il crepuscolare e
il notturno.
Splendido il lavoro di Nicholson, qui in veste di produttore, sia nel creare equilibrio fra roots e melodie (l’iniziale Grave Robber’s Daughter), che nell’amplificare i languori malinconici (i saliscendi emotivi della conclusiva Kings Horses),
ottime le canzoni, plasmate da una scrittura qualitativamente ben sopra
la media, e soprattutto, eccellente la perfomance vocale della Forsyth,
che gioca con il suo timbro sensuale e imbronciato, usando la forza di
un’estensione impressionante, capace di prendere bassi e acuti con una
facilità disarmante (l’intro a cappella di War Zone è in tal senso esplicativa).
Un esordio coi fiocchi, dunque, nel quale si passa dal maledettismo da dark lady nell’inquietante Hell’s Lullaby (“I drank holy water but it rotted my teeth”), alle atmosfere bluesy, livide e disturbate di White Noise, al pop country del singolo In The Morning, in cui è evidente il richiamo ad atmosfere vicine a Lana Del Rey, fino a improvvise accelerazioni d’indole cow-punk (Redemption). Da tenere d’occhio.
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 07/06/2018
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