La
prolificità di Joe Bonamassa è un dato di fatto incontrovertibile. Ogni
anno, le uscite a suo nome, sia che si tratti di dischi solisti, dischi
live, collaborazioni con Beth Hart, comparsate in lavori altrui (il
tributo di Mahalia Barnes a Betty Davis, a esempio) o progetti paralleli
(l’eccitante avventura Black Country Communion, prima interrotta e poi
ripresa, e l’ecletttico divertissement con i Rock Candy Funk Party),
ammontano come minimo a tre (nel 2018 due dischi sono già usciti, e
questo è il terzo).
A
fronte di un così cospicuo numero di pubblicazioni, bisogna dire che il
chitarrista newyorkese ha sempre mantenuto, però, un ottimo livello
qualitativo. Certo, a meno che non siate fans, non tutte queste uscite
sono imprescindibili; tuttavia, è indubbio, che Bonamassa sia uno dei
pochi musicisti al mondo capace di abbinare una variegata e
numericamente consistente produzione, a straordinarie performance live
(l’ultimo British Blues Explotion) e centratissimi dischi in studio.
Questo Redemption arriva due anni dopo Blues Of Desperation,
continuandone la narrazione, dando cioè grande spolvero a quel rock
blues che il chitarrista è capace di declinare in tutte le diverse
accezioni. Anche in questo nuovo lavoro, Bonamassa dimostra di essere
una macchina da guerra, in grado di maneggiare la materia con la
consueta autorevolezza tecnica e con quella passione che ancora oggi lo
fa suonare come un ragazzino carico di entusiasmo.
L’impressione,
poi, è che il buon Joe stia molto migliorando anche nelle parti cantate
e che abbia asciugato il suo stile, evitando eccessivi virtuosismi fini
a sé stessi, cosa che nella prima parte della carriera adombrava il suo
indubbio talento. Insomma, Redemption è un disco veramente
riuscito, che non presenta novità per chi già conosce il menù della
casa, ma che conferma come Bonamassa sia uno dei migliori interpreti del
genere.
Si gode, quindi, e non poco, a partire dall’iniziale Evil Mama,
attacco di batteria zeppeliniana, robusto arrangiamento con sezione
fiati e coro femminile, groove funky e una serie di assoli da standing
ovation. Una partenza a raffica, ribadita dalla successiva ed eccitante
derapata boogie di King Bee Shakedown e dall’approccio hard della muscolare Molly O’, retaggio evidente della militanza con i Black Country Communion.
Se alcuni momenti, pur strutturati, restano solo dei buoni esempi di rock dall’impatto molto radiofonico (Deep In The Blues Again),
Bonamassa dimostra però grande dimestichezza quando si cimenta con un
suono più classico e di derivazione chicagoana, come in Just ‘Cos You Can Don’t Mean You, I’ve Got Some Mind Over What Matters e la travolgente Love Is A Gamble (con uno sfoggio di sudore e tecnica da par suo), o tenta strade meno immediate, come nella più intima e raccolta Stronger Now In Broken Places o nella complessa ed evocativa Self-Inflicted Wounds.
Non
c’è bisogno di aggiungere molto altro per raccontare un disco che se
non esce da territori ormai abbondantemente esplorati, testimonia però
l’evoluzione di un musicista che, nonostante sia tra i più acclamati
chitarristi al mondo, non smette di crescere in termini qualitativi e di
innervare il proprio lavoro di un ardore quasi commovente. Imperdibile
per i fan, consigliatissimo ai patiti della sei corde.
VOTO: 7,5
Blackswan, domenica 30/09/2018