Copertina
e titolo di questo nuovo album di Eminem, uscito a sorpresa, dopo la
recente pubblicazione di Revival (2017), dicono già molto: la citazione
esplicita di Licensed To ‘Ill dei Beastie Boys, a voler
rimarcare la propria appartenenza alla ristretta cerchia delle eminenze
grigie dell’hip hop e a un certo modo, libero da vincoli, di elaborare
il genere, e ”kamikaze”, termine non certo lusinghiero con cui il nostro additava qualche tempo fa il presidente degli States, Donald Trump.
Una
dichiarazione d’intenti, dunque, che precede il contenuto del disco,
come a voler subito rimarcare un concetto semplice ma di grande effetto:
sono il migliore e sono tornato a dimostrarlo, più incazzato che mai.
Già, perché la gloria di Eminem, ultimamente, si era un po' offuscata, a
causa di un filotto di dischi, non proprio imprescindibili, ultimo dei
quali, il citato Revival, era una prova talmente opaca, da sgomentare un
po' di tutti, fan, critica e colleghi compresi.
Kamikaze
è, dunque, un disco volutamente e violentemente polemico, il ritorno di
un re spodestato, che si riappropria del trono e dello scettro, per far
sapere al mondo che a comandare è di nuovo lui, il migliore di tutti. The Ringer,
che apre il disco, è il manifesto del nuovo corso: nessuna concessione
al pop da classifica che aveva ammorbato i precedenti lavori, ma una
virulenta invettiva nei confronti delle stelline della trap e delle
artificiose ostentazioni che la connotano, un freestyle duro e puro,
violento e sboccato, in cui Eminem esibisce tecnica e velocità
supersonica, come a voler sfidare il mondo:”provateci voi, se siete capaci!”.
Non
ci sono grosse novità nell’impianto delle canzoni, ma è proprio la
rinnovata verve di Marshall a fare la differenza. Picchia duro, Eminem, a
volte in modo caustico, altre con quella logorrea sboccata con cui tira
dritto come un fuso senza guardare in faccia a nessuno. Se la prende con
tutti, con le nuove leve tecnicamente incapaci, con Trump e la sua
amministrazione, con i detrattori che non gli hanno perdonato Revival, e
non smette di esibire quei virtuosismi che, inutile negarlo, continuano
a farcelo amare più di chiunque altro.
E’ un disco diretto, Kamikaze, senza fronzoli, i cui momenti melodici sono ridotti alla malinconica Stepping Stones e, in parte minore, alle due canzoni gemelle Nice Guy e Good Guy (brava Jessie Reyez), in cui il rapper fa il punto sulla sua complicata relazione amorosa con Kim.
Eminem,
insomma, è tornato a fare quello che riesce meglio e a sciorinare quel
repertorio acido, cinico e politicamente scorretto che aveva consegnato i
suoi primi dischi a un’aura di meritata leggenda. Così succede che in Fall,
singolo in cui compare anche un cameo di Justin Vernon (che poi ha
giustamente chiesto di non comparire fra i crediti), Eminem aggiunga
nottetempo, all’insaputa di Bon Iver, un verso pesantemente omofobo nei
confronti del collega Tyler the Creator, colpevole di aver aspramente
criticato il precedente Revival.
Uno
sleale colpo di mano che la dice lunga sulla rinnovata vis polemica del
rapper di Detroit. Un brutto gesto, certo, ma se questo è il prezzo da
pagare per riavere Eminem in perfetta forma, il gioco vale la candela.
Perché tra l’artista arrivato e spompato degli ultimi dischi e questo
che piscia fuori dal vaso con indicibile arroganza, personalmente
continuo a preferire il secondo.
VOTO: 7
Blackswan, lunedì 10/09/2018
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