Se
questo disco fosse stato prodotto in terra D’Albione e fosse opera di
un gruppo di indie fighetti londinesi, è probabile che per qualche
settimana le riviste specializzate non parlerebbero d’altro. Invece,
Fever, quarta fatica della band originaria di Gent, se da un lato
spopola in terra natia (è gia volato in cima alle classifiche
nazionali), nel resto del mondo sta passando, inspiegabilmente, quasi
sotto silenzio.
D’altra
parte i Balthazar arrivano dal Belgio, terra che possiede l’appeal di
una cena a base di pastina e mela cotta, e la cui scena musicale vede
come unico nome di spicco i dEUS. Ed è un peccato, per questo disco, non
solo è il migliore dell’ancor breve carriera dei Balthazar, ma è di
certo una delle più interessanti uscite discografiche di questo primo
scorcio del 2019.
Soprattutto,
Fever, da dipendenza, coglie di sorpresa al primo ascolto, quando ciò
che salta immediatamente all’orecchio è la genialità di certi
arrangiamenti, e poi, successivamente, stende al tappeto con melodie che
non lasciano scampo anche a orecchie, come quelle del sottoscritto, che
sono più allenate allo sferragliare del rock che alle suggestioni
zuccherine del pop.
Non
c’è una virgola fuori posto in queste undici canzoni che producono il
classico effetto ciliegia: una tira l’altra e smetterle di ascoltarle è
pressoché impossibile. L’anima pop svelata in ritornelli a presa
immediata, la veste formale di un funk sornione e dalle movenze dandy,
gli arrangiamenti votati alla regola “less is more”, fanno di Fever un disco all’apparenza semplice, e tuttavia ricco di sostanza.
Il
canovaccio funziona a meraviglia in tutti gli undici episodi del lotto:
una goduriosissima linea di basso è l’innesco intorno al quale
fioriscono, improvvise e inaspettate, leggerissime partiture di
chitarra, coretti irresistibili, sussurri di sax, vapori di tastiere, il
tutto legato dalla bella voce da crooner di Maarten Devoldere.
Canzoni
che al glamour preferiscono la posa del dandy, non sfrontata e
ammiccante però, ma semmai quello sguardo languido e rilassato da
bicchiere della staffa prima di andare a dormire, quando fuori, le prime
luci dell’alba, trasformano in ricordo il volto di quella splendida
donna con cui hai ballato tutta la notte.
Difficile indicare un brano che meriti più di altri, perché il livello della scaletta è tutto altissimo, ma il ritornello di Wrong Faces e i suoi echi mediorientali, il falsetto ruffianissimo di I’m Never Gonna Let You Down Again, gli anni ’60 e il r’n’b sintetizzati in Wrong Vibration, le nostalgie eighties di You’re So Real,
accarezzate da poche note di un sax decisivo come un calcio di rigore
al 90°, sono autentiche gemme destinate a durare nel tempo.
Chi
mi legge da tempo, sa che probabilmente sono il meno indicato a
recensire un disco di pop, perché le mie sfere di competenza sono ben
altre. Tuttavia, proprio per questo, quel voto alto che trovate a fianco
della recensione, non nasce dal mio gusto personale, ma dall’onestà
intellettuale con cui si dovrebbe sempre recensire la buona musica, a
prescindere dal proprio background. E per questo che non temo di
sbilanciarmi affermando che Fever è un grandissimo disco, e che, se fosse già dicembre, entrerebbe di diritto nella mia top ten dell’anno. Imperdibile!
VOTO: 9
Blackswan, mercoledì 06/02/2019
3 commenti:
Ooooh, finalmente un basso di quelli come piacciono a me (da ex-bassista tamarro-funk).
Sorprendente: molto easy ma godevolissimo!
@ Lucien: disco con linee di basso molto funky. Disco (fintamente) leggero e davvero molto bello.
ma è una schifezza
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