A
voler misurare il percorso artistico dei Whiskey Myers, si potrebbe
dire che questo nuovo, omonimo disco, sia il vertice della produzione
della band texana. E non è assolutamente un caso che sia anche il primo
album interamente autoprodotto, a riprova dell’ulteriore consapevolezza
acquisita, di un rinnovato desiderio di libertà e della capacità di
assumersi anche dei rischi pur di assecondare idee e intuizioni.
Non che i dischi precedenti non fossero validi, per carità: in Early Morning Shakes (2014) e Mud (2016) c’era pure la manina santa di Dave Coob, produttore pluripremiato e da sempre sinonimo di qualità. In questo Whyskey Myers,
però, si respira un’aria diversa, un entusiasmo che trasuda da ogni
solco del disco, un desiderio palpabile di divertirsi e di divertire. La
formula, ovviamente, è quella consueta di far convivere hard rock e
country, avvolgendoli in uno sgargiante mantello di chitarre southern, e
i riferimenti artistici sono quelli di sempre, Lynyrd Kynyrd e Black
Crowes in primis.
Poi,
ci sono anche le canzoni, quattordici per la precisione, a parere di
chi scrive, mai così centrate e brillanti. Si parte subito pigiando il
piede sull’acceleratore, con il riffone di Die Rockin’, brano
scritto in condominio con Ray Wylie Hubbard e bagnato nell’acquasantiera
del gospel, una sorta di graffiante omaggio alla vita da rocker e alle
leggende del rock a stelle e strisce. Non è da meno la successiva Mona Lisa, boogie travolgente affilato a colpi di slide e dal suono geneticamente derivativo (qualcuno ha detto Black Crowes?).
Due
brani che aprono il disco con un piglio notevolissimo, ma che
rappresentano solo una parte delle specialità di casa Whiskey Myers.
L’altra, quella più morbida, affonda le radici nel country e ha sonorità
decisamente più roots. Ecco, allora, lap steel, armonica e chitarra
acustica che levigano il mood country della splendida Rolling Stone, mood che ritorna anche nella malinconica California To Caroline o nella splendida Bury My Bones, ballata dal sapore nostalgico che suona epica, come una sorta di Simple Man (Lynyrd Skynyrd) 2.0.
A prescindere dalle canzoni citate, tutte bellissime, il disco fila che è un piacere, tra brani robusti e grintosi (Gitter Ain’t Gold, Bitch, Kentucky Gold) e ballate spezza cuore, come la conclusiva Bad Weather, lap steel in bella evidenza e finale infuocato dal tiro delle chitarre elettriche.
Whiskey Myers
è un disco che non deluderà i fan del gruppo e gli appassionati di
southern: canzoni dirette, efficaci, che vanno dritte al punto senza
guardarsi troppo intorno, grazie a un’urgenza espressiva che rende la
scaletta agile e palpitante. E poco importa se qualche brano è un po'
telefonato e i riferimenti artistici evidenti e svelati. L’esuberanza
della band e un songwriting sincero e appassionato mettono tutto il
resto in secondo piano.
VOTO: 7
Blackswan, lunedì 09/12/2019
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