Gli
opposti, i contrasti, le collisioni. Scartare la linearità ed evitare
il prevedibile è spesso ciò che dona alla musica un fascino superiore e
diverso dal mero esercizio di stile o dal puro divertimento, perché la
stratifica, la rende volubile, inafferrabile, elusiva.
In tal senso, Y,
Ep d’esordio dei ravennati Yesterday Will Be Great si presenta come
un’opera antinomica su diversi piani, sia formali che concettuali. C’è
la distanza breve (cinque canzoni per poco più di mezz’ora di musica) e,
per converso, il superamento della classica formula canzone, sia per il
minutaggio (la maggior parte delle canzoni superano i cinque minuti di
durata) che per la struttura. I brani, poi, sono stratificati,
possiedono una cerebrale inclinazione alla complessità, eppure sono
scossi da un impeto istintivo, fisico, molto muscolare. Infine, gli YWBG
operano all’interno di Y un apparentamento scorbutico fra post
rock e psichedelia, due generi che confliggono, che sgomitano per
rubarsi la scena, finendo poi per trovarsi a convivere in perfetto
equilibrio.
D’altra parte cosa aspettarsi da una band che ha scelto come nome una sorta di paradosso temporale? “Ieri sarà fantastico”:
ennesima antinomia, scontro di prospettive, passato e futuro come lente
per guardare a un presente che è al contempo suggestione nostalgica e
empito di speranza per tutto ciò che non è stato ma potrà essere.
Simone
Ricci (chitarra), Massimo Gardini (basso e voce), entrambi ex
componenti dei Kisses From Mars, e Daniele Mambelli (batteria)
allestiscono uno scenario cupo, ossianico, in cui si sviluppano cinque
canzoni ondivaghe fra atmosfere sognanti e cinematiche e accessi di
fragore, che imboccano strade dal declivio ipnagogico che finiscono
irrimediabilmente per schiantarsi contro muri di chitarre fragorose.
Non
c’è però dispersione di energia né irruenza fine a se stessa, perché
anche i momenti più violenti vengono indirizzati e trattenuti in una
visione d’insieme coerente ed equilibrata. Gestire la forma ed essere
padroni della materia, mantenendo la giusta distanza, evitando le
sbavature, per convogliare il pathos in uno stile immediatamente
riconoscibile.
Solo
cinque canzoni, dicevamo, ma tutte necessarie, dirette, prive di
fronzoli, anche quando aprono a dimensioni parallele di onirica
luminescenza. Come accade, ad esempio, nell’iniziale Someday,
le cui atmosfere lisergiche dal sapore beatlesiano vengono scandite da
una ritmica secca, quadrata, per arrestarsi poi di fronte al
frangiflutti di un’esplosione noise di tonitruanti chitarre, o nella
successiva Babylon, le cui volute psichedeliche deragliano in un riff sinistro di matrice sabbathiana.
Le spire avvolgenti della lunga You, Above The Ocean, aprono all’inquietudine di una notte senza luna, tenebrosa e ostile, sensazione, poi, ampliata nella successiva Any Our,
che spinge verso atmosfere dark wave, grazie a una pulsante e invasiva
linea di basso e al neon a intermittenza della chitarra di Ricci.
Chiude la scaletta la tambureggiante Goodbye,
dagli accenti quasi presbiteriani, che delinea una perfetta alchimia
tra ieratica solennità, visione lisergica, ipnotica circolarità post
rock e ancestrale inquietudine. Canzone pregna di epos, che sigilla un
disco breve ma di intensa e sinistra bellezza.
VOTO: 8
Blackswan, lunedì 13/01/2020
1 commento:
Concordo
Un abbraccio
Maurizio
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