L’album, uscito per la Fat Possum Records (l’etichetta di Courtney Marie Andrews, Modest Mouse, X, etc), è stato registrato tra Nashville e New York e prodotto da Matt Sweeney, che ha già collaborato con Iggy Pop, Queens Of The Stone Age e Jake Bugg, per citarne alcuni.
Come dicevamo, siamo lontani anni luce dal genere che il nome della band potrebbe evocare: in scaletta, infatti, ci sono undici canzoni di robusto rock americano, suonate con urgenza quasi punk (il minutaggio di ogni singolo brano si attesta sui tre minuti) e con quella immediatezza e freschezza che spesso solo una scarna strumentazione riesce a trasmettere (in qualche canzone si aggiunge una seconda chitarra, elettrica o acustica).
Un disco tirato, diretto, senza pause e senza inutili fronzoli, i cui riferimenti stilistici sono abbastanza evidenti. In primo luogo i Gaslight Anthem, a cagione di una certa somiglianza della voce roca, ispida e scorbutica di Joseph Plunket con quella di Brian Fallon, e del tiro ruvido e grezzo dei brani (It’s Not Easy, I’m Not Ready). Lo spettro dei rimandi, tuttavia, può ulteriormente ampliarsi ed è un attimo tirare in ballo band come i Lucero, gli Hold Steady e, perché no, i Dream Syndicate di Steve Wynn.
Non c’è nulla di sostanzialmente nuovo in questo esordio e probabilmente manca la canzone che svetta, il singolo trainante il disco. Tuttavia, avercene di album così: graffiante, sincero, suonato in modo semplice ma estremamente efficace e capace di farci far la pace con un genere, il rock, che oggi manca spesso di quell’essenzialità e di quell’urgenza che invece dovrebbero sempre caratterizzarne l’essenza.
VOTO: 7
Blackswan, venerdì 28/08/2020
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