venerdì 13 novembre 2020

ACE OF CUPS - SING YOUR DREAMS (High Moon Records, 2020)

 


In queste righe, troverete una recensione, ma troverete anche una storia, di quelle che vi faranno esclamare: “ma pensa te!”. E’ la storia di Mary Gannon (basso), Marla Hunt (organo, pianoforte), Denise Kaufman (chitarra, armonica), Mary Ellen Simpson (chitarra solista) e Diane Vitalich (batteria), ovvero le Ace Of Cups, probabilmente la prima rock band tutta al femminile della storia. Siamo nel 1967, in piena Summer Of Love era, e siamo a San Francisco, che in quegli anni è l’ombelico del mondo musicale, crogiolo di fricchetoni e visionari, terra dell’amore libero e di passioni antimilitariste, avamposto di nuove droghe e della novelle vauge del rock, che vede in band come Jefferson Airplane e Grateful Dead i suoi alfieri.

A Frisco, arrivano, quasi tutte dalla California, cinque ragazze che hanno già fatto un po' di gavetta (la Simpson, addirittura, aveva suonato una volta con Bill Haley And The Comets) e hanno in testa il sogno di creare una band che faccia rima con donna. Esordiscono nella primavera del 1967 e, già a fine giugno, Jimi Hendrix le vuole sul palco ad aprire un suo concerto, perché stravede per la furia debordante con cui la Simpson suona la chitarra ed è ammaliato dal groove che le ragazze esprimono dal vivo.

Nella Bay Area, in poco tempo, le Ace Of Cups diventano vere e proprie icone, suonano ovunque, diventano le band di casa del Matrix e aprono concerti a molti colleghi che in quegli anni fanno sfracelli. Hanno lo stesso manager dei Quicksilver Messenger Service, Ron Polte, il quale rifiuta vari contrati discografici, perché ritenuti non all’altezza della bravura delle ragazze; le quali, peraltro, alla sola idea di partire per un tour che le allontani da casa, fanno retromarcia davanti a qualsiasi proposta (all'Altamont Speedway Free Festival la Kaufman, divenuta moglie del sassofonista Noel Jewkes, di cui era incinta, fu colpita alla testa da una lattina di birra piena lanciata dagli Hell's Angels e fu operata d'urgenza per rimuovere un pezzo di osso che le aveva lesionato l'occhio).

L’ostinazione a non voler sottoscrivere contratti, però, non paga e porta, quindi, a inizio degli anni ’70 allo scioglimento della band, le cui componenti spariscono dalla circolazione per quarant’anni, salvo poi tornare a fare musica dopo il 2010 e a pubblicare finalmente il primo omonimo album in studio, che vede la luce il 9 novembre del 2018.

Evidentemente, le ragazze, che oggi sono delle arzille vecchiette che hanno superato la settantina, ci hanno preso gusto, e questo Sing Your Dreams è il nuovo capitolo di un’avventura musicale a scoppio ritardato. Ora, immagino che qualcuno di voi sia perplesso e tema di trovarsi di fronte un album buono come sottofondo per l’area ricreativa di un ospizio di provincia. Un cazzo. Le cinque anzianette stanno sul pezzo con un vigore che farebbe invidia a un ventenne.

Certo, questa musica è clamorosamente vintage, si porta dietro il suono e le atmosfere dei giorni gloriosi della band; chi, però, si aspettasse una replica frusta di cose morte e sepolte, sarebbe completamente fuori strada. Sing Your Dreams è un lavoro vario, e quando dico vario intendo che abbraccia generi diversi, e divertentissimo, tanto che si ascolta più volte con rinnovata piacevolezza. Perché, lo si coglie da subito, è palpabile la voglia di recuperare il tempo perduto e di fare grande musica.

Dressed in Black apre il disco con piglio funky blues e si capisce cosa provasse Hendrix ascoltando il groove e il tiro delle Ace of Cups. Jai Ma gioca con ritmi caraibici e schiera come ospiti Sheila E., Steve Kimock (Grateful Dead) e la Escovedo Family, Put A Woman In Charge è un rockettone cazzuto alla Joan Jett, Sister Ruth una splendida ballata americana con Jack Casady (Jefferson Airplaine) al basso, Basic Human Needs è morbida psichedelia dagli accenti africani, Boy, What ‘ll You Do Then possiede un tiro garage inaspettato, Little White Lies è uno sculettante r’n’b, mentre la suntuosa ballata Slowest River/Made For Love sigilla la scaletta tra profumi west coast e con le voci di Jackson Browne, Bob Weir (Grateful Dead) e David Freiberg (Quicksilver Messenger Service), presenti come ospiti. Una corale nostalgica in ricordo dei bei tempi andati, che chiosa un album dal sapore antico e al contempo fresco di indomita passione.

VOTO: 7

 


 

 

Blackswan, venerdì 13/11/2020

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