lunedì 4 gennaio 2021

OLD KERRY MCKEE - MONO SECULAR SOUND (ICEA, 2020)

 


Dalle gelide terre svedesi al Mississippi. E’ questo il percorso fatto da Joakim Malmborg, ex batterista del gruppo black metal degli Inevitable End, e oggi titolare del progetto (one man band) di Old Kerry McKee. Un viaggio lungo, iniziato otto anni fa con Wooden Songs, che ha visto Malmborg partire dai suoni cupi e potenti ispirati dalla terra d’appartenenza per collocarsi, poi, idealmente negli States, paese da cui ha pescato molti dei suoni concepiti in questo sophomore, ispirati, oltre che dalla musica evocata dal grande fiume statunitense, anche da un certo folk che guarda principalmente al Midwest.

Mono Secular Sounds, in questo senso, raggruma in otto canzoni le esperienze musicali di Malmborg e la sua inquieta passione per il suono americano. Nel cuore della Svezia, contornato dall’aspra natura che circonda la propria fattoria, il batterista svedese, ha concepito un disco nero come la pece, in cui è confluito il proprio vissuto, in liriche che raccontano di morte, di disperazione e di politica, e in canzoni scarne, un po' sghembe, figlie di un’ispirazione che ha attinto in parti eguali da metal, folk e blues.

Un album che richiama alla mente i 16 Horsepower di David Eugene Edwards, band a cui, per sua stessa ammissione, Malmborg ha detto di essersi ispirato durante la fase di scrittura. Era inevitabile, dunque, che questi brani fossero immersi in atmosfere selvagge, crepuscolari, ossianiche, in cui ogni paesaggio evocato diventa terra di fantasmi, di malinconie notturne, di incubi inghiottiti nelle tenebre. In questa cornice, a tratti addirittura plumbea, trovano, così, un inusuale punto di fusione la vertigine rabbiosa del black metal, echi che riportano a Bob Dylan e Johnny Cash, torbide visioni bluesy avviluppate nel fango.

L’opener martellante South Spruce Blues, trafitta da un’armonica acuminata e attraversata da una voce ultraterrena, apre immediatamente a un cupo sprofondo, ribadito dalla successiva, furente, Cattle And Wolves, il brano che risente maggiormente delle influenze black metal, per il suono roco della chitarra, l’incedere selvaggio e lo screaming furente di Malmborg. Una canzone schizofrenica e ansiogena, che confluisce, poi, nell’inquietante Gypsy Rags/Death, Oh Death prt. 2, intreccio blues di chitarre stressate dall’angoscia e figlia di centinaia di ascolti dei 16 Horsepower.

Una tripletta iniziale con vista sull’abisso che porta al cuore del disco, in cui l’atmosfera, se non proprio serena, si fa meno soffocante, con le ballate I’ve Been Building, Humming On The Porch e la lunga Woman From Tamava, le radici ben compenetrate in terra americana, Dylan come nume tutelare, la voce impastata di Malmborg a disturbare e scartavetrare il fluire delle melodie.

Chiudono la scaletta la scattante Anxiety Blues, un titolo un programma, e la cover spiazzante di House Of Rising Sun, trasmutata in un folle bluegrass per fingerpicking, nevrotico e adrenalinico. Chiosa perfetta per un piccolo grande disco, capace di dare vita agli umori più oscuri di questo anno folle, plasmando con originalità il suono americano più tradizionale e gli spettrali incubi di un gelido inverno svedese. Emozionante, ma non per tutti.

VOTO: 8

 


 

Blackswan, lunedì 04/01/2021

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