martedì 5 gennaio 2021

THE STYLE COUNCIL - OUR FAVOURITE SHOP (Polydor, 1985)

 


Fuori i Jam e dentro gli Styles. Quando Paul Weller abbandona la sua prima creatura, trova nel tastierista Mick Talbot un nuovo compagno di avventure e cambia decisamente prospettiva. Messa da parte la rabbia, le chitarre elettriche Rickenbacker, il revivalismo mod incendiato dal furore punk, il Modfather abbandona l’eleganza cheap, il cravattino, i capelli corti, e abbraccia un’estetica dandy mitteleropea. Asse Londra – Parigi, mocassini, Lacoste, maglioncini a v e pose raffinate.

A prescindere però dalla diversa iconografia, Weller, però, continua la sua militanza, schierandosi ancora più apertamente a sinistra: se attraverso la musica dei Jam era riuscito a intercettare le frustrazioni e i dolori della gioventù proletaria inglese, il nuovo corso dà vita all’esperienza con il Red Wedge e a liriche sempre più politicamente impegnate.

Cambia, tuttavia, la visione musicale, si passa da un suono grezzo e scattante e dalla spinta innodica e anfetaminica di canzoni dall’anima beat e r’n’b, a una visione più ampia, a un’eterogeneità compositiva che miscela con intelligenza pop, soul, funky, acid jazz e canzone francese.

L’esordio del 1983, con l’ep Introducing The Style Council, mette subito in chiaro il nuovo corso di un eclettismo raffinato e aperto a svariate influenze, che viene ribadito, poi, con il primo capolavoro, Cafe Blue, pubblicato l’anno successivo, un caleidoscopio in cui convergono tutti i colori dell’infinita tavolozza welleriana. Una sorta di lavoro preparatorio al successivo Our Favourite Shop, che, al netto di dispute fra i fan su quale tra i due dischi sia il migliore, risulta rispetto al predecessore sicuramente più coeso e ragionato.

Pubblicato l’8 giugno del 1985 (sul mercato americano con il titolo differente di Intenationalists e un diverso ordine delle canzoni in scaletta), il secondo full lenght degli Styles, prodotto dallo stesso Weller con la collaborazione di Peter Wilson (già alla corte dei Jam), si avvale della collaborazione di un nutrito gruppo di sessionisti (Steve White alla batteria, Dee C. Lee al canto, Camille Hinds al basso, altri vocalist, sezione fiati e sezioni archi) che contribuiscono a rendere il suono estremamente compatto e rigoglioso pur nella sua eterogeneità.

I testi, come si diceva, sono fortemente connotati politicamente, i temi trattati quelli del razzismo, del consumismo, della situazione socio economica del paese, il mood è pessimista ma al contempo battagliero. Temi, questi, declinati in quattordici canzoni, scritte quasi tutte dallo stesso Weller, che viaggiano verso direzioni diverse, creando un unicum ricco di suggestioni.

Dall’incipit di Homebreakers, dal sinuoso incedere soul, fino al beat e ai fiati scintillanti della conclusiva Walls Come Tumbling Down, è tutto un alternarsi di umori e cangiante songwriting. Si passa, infatti, dall’elegante bossanova di All Gone Away al respiro sixties di Come To Milton Keynes, dallo sferzante r’n’b di Internationalists al french touch di Down In The Seine, dalle griffe anni ’80 di The Lodgers all’inequivocabile presa di posizione politica di A Stones Throw Away, gemma nascosta fra volute d’archi che pagano debito alla Eleanor Rigby di Beatlesiana memoria; il tutto senza che la tensione venga meno, senza che la scrittura perda mai un grammo della sua estrosa qualità.

Our Favorite Shop, oltre a essere un’opera perfettamente bilanciata, che sposa in un connubio indissolubile decadentismo, raffinatezze pop e audaci incursioni nella black music, rappresenta anche un capitolo emblematico nella carriera di Weller. Il quale, forse già stanco dell’avventura con Talbot, trascina stancamente il progetto Style Council per altri due dischi (The Cost Of Loving del 1987 e Confessions Of A Pop Group del 1988), con un approccio, però, sempre più svogliato, per poi dare vita, nel 1992, a un’appagante carriera solista. In cui confluiscono i temi e molte delle sonorità di questo disco, rivisitate, in un ennesimo cambio rotta, con un piglio più rock, più psichedelico, più scarno.

 


 

Blackswan, martedì 05/01/2021

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