mercoledì 6 ottobre 2021

CHRIS ECKMAN - WHERE THE SPIRIT RESTS (Glitterhouse Records, 2021)

 


Un tempo, membro dei The Walkabouts, una delle migliori incarnazioni del Seattle sound, Chris Eckman, ormai, risiede a Lubiana da molti anni, gestendo la sua etichetta di world music, la Glitterbeat, e pubblicando, occasionalmente, qualche album. Il suo ultimo lavoro solista risaliva al 2014 (Harney County), la bellezza di sette anni fa, e fa quindi piacere ritrovare Eckman in ottima forma, con un disco strettamente imparentato con il suo predecessore.

Where The Spirit Rests, come molti album usciti quest'anno, è nato durante la pandemia, quando Eckman, non avendo suonato musica per un po', ha preso in mano la sua chitarra e ha iniziato ad armeggiare con essa. Alcune canzoni sono nate proprio così, in modo estemporaneo, figlie della voglia di ritornare al semplice piacere di suonare e comporre e del desiderio di tornare a mettersi in gioco, a essere musicista a tutto tondo. Inizialmente, le sette canzoni della scaletta erano solo piccoli bozzetti, scarni e privi di colore, che Eckman, però, con la pazienza e l’amore di un fine artigiano ha lentamente trasformato in qualcosa di più strutturato e complesso.  

Il disco si dipana lentamente dalle brume di un umore cupo, è un disco terrigno eppure avvolto di spiritualità, introspettivo e al contempo epico, tanto scarno quanto suggestivo e cinematico: pochi strumenti, e un’impalcatura quasi francescana, a far da contorno alla voce Eckman, il cui tono grave e dimesso evoca Cash e Dylan, pervadendo così l’ascolto di famigliarità e intimismo.

Da solo con la sua chitarra, o accompagnato da basso, batteria e remote pennellate di pedal steel, pianoforte, Wurlitzer, violino e violoncello, Eckman cesella canzoni dal fascino ipnotico (la scintillante pedal steel che adorna "This Curving Track"), dal respiro quasi cosmico (il trip onirico dolcemente anestetizzante di "Drinking In America") o avvolte in suggestioni naturistiche ("Cabin Fever" ammalia come i lampi di un temporale che illuminano l’orizzonte).

Where The Spirit Rests ben si concilia anche con le ore piccole, il tempo che evapora contornato dalla notte, mentre le canzoni gocciolano nel buio, e Eckman, nell’iniziale "Early Snow", delinea le gelide coordinate dell’odierno male di vivere ("Questi tempi sono duri con l'amore/duri con il sesso e la spavalderia"), e in "Northern Lights" scandaglia i tormenti interiori con bellezza quasi opalescente (“Damned If We Do/ Damned If We Don’t/ The Nights Go Phosphorescent”).

La canzone che dà il titolo al disco è, invece, un'epica suite di nove minuti, che si apre con la voce di Eckman immersa nel mondo sonoro di Scott Walker: la viola di Catherine Graindorge e le tastiere di Chris Cacavas adornano il ritmo funebre della sezione ritmica, aprendo così a una coinvolgente sensazione ambientale che trasforma gradualmente il brano in una sorta di poema sinfonico. Eckman chiude "CTFD", un monologo ancora più personale e intimo di quelli che lo hanno preceduto e che si sofferma sugli effetti di una grave malattia da deperimento. Le atmosfere richiamano alla mente il grande Leonard Cohen, mentre Eckman canta con straziante sincerità una storia di dolore e di speranza.

Cala così, nel modo migliore possibile, il sipario su un disco non certo di facile assimilazione, ma che, ascolto dopo ascolto, percorre tutta la lunga a fascinosa strada che conduce al centro del cuore, con l'unico scopo di emozionare. Impossibile non innamorarsene.

VOTO: 9

 


 


Blackswan, mercoledì 06/10/2021

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