Era il luglio del 2022, quando la notizia che Joni Mitchell era tornata a suonare dal vivo a Newport (non succedeva dal 1969), dopo vent’anni di assenza dai palchi e l’ictus che l’aveva colpita nel 2015, fece letteralmente impazzire il web. Un evento epocale, di cui iniziarono subito a girare parecchi video su youtube, nato come naturale conseguenza di quella che la storia ricorderà come la Joni Jam, un gruppo di giovani artisti guidati da Brandi Carlile che, con regolarità, frequentavano la casa di quella straordinaria artista, la cui musica è stata fonte d’ispirazione e linfa artistica vitale.
Ciò che, l’estate scorsa, è successo sul palco leggendario di Newport, oggi è confluito anche su cd e vinile. Non si tratta però solo di un omaggio o di una celebrazione di un iconico personaggio fine a se stessa. Live At Newport è una resurrezione, è il ritorno dell’araba fenice, il cui fuoco sembrava essere estinto per sempre e che invece risorge dalla proprie ceneri. Joni è una sopravvissuta, in tutti i sensi. Alle mode, a un mondo che corre a una velocità pazzesca, in modo scomposto e raffazzonato, verso uno squallido appiattimento, intellettuale ed emotivo, così lontano dal cesello delicato della sua arte e dall’armoniosa leggerezza delle sue melodie senza tempo; ma anche alle angherie della vita, da quella poliomielite contratta all’età di nove anni, dalla lunga e continua lotta contro il subdolo morbo di Morgellons, e da quel colpo apparentemente letale, l’aneurisma cerebrale debilitante di cui ha sofferto nel 2015. Nessuno al mondo avrebbe scommesso un solo centesimo su un suo ritorno sul palco.
E invece, il semplice fatto che questo concerto sia avvenuto è di per sè un miracolo, che abbatte le barriere del tempo, che consegna la bellezza del passato nelle mani delle giovani generazioni, un filo sottile, ma indistruttibile, che tiene insieme più di cinquant’anni di storia, a cui tutti, prima o poi, devono guardare con stupore e amorevole riconoscenza. Eppure, nonostante questo live suoni come una sorta di canto del cigno, come dicevamo, nulla suona come rassegnato, ultimo tributo. Fin dall'inizio, dalla prima canzone, "Big Yellow Taxi", si comprende subito il senso del tutto e quale sia l’atmosfera: è come se un gruppo di amici si riunisse a suonare la chitarra e cantare canzoni attorno al fuoco. C’è gioia, partecipazione, complicità, amore. La Joni Jam circonda la Mitchell con affetto, la sostiene e l’aiuta ad affrontare la sua prima apparizione dal vivo dopo anni.
Fa fatica, Joni, è provata nel fisico, e la voce è sofferta, flebile, eppure ancora straordinariamente evocativa. E’ la forza della musica, quel carburante nobile che unisce e mette al centro sempre e solo una cosa: la vita. Il resto non conta. E allora, questa esibizione, così imperfetta, così improbabile, così apparentemente figlia del tempo che passa e che non risparmia nessuno, diventa la fotografia della bellezza accecante di un magnifico tramonto, il sole che cala all’orizzonte, e svela al mondo il suo mistero, nel tepore di quegli ultimi raggi, che sono l’estremo ricordo, il più struggente.
Così, è impossibile non commuoversi, di malinconia e di rinnovata estasi, quando parte "A Case Of You", in cui Brandi Carlile e Marcus Mamford prestano la voce all’immortalità, e Joni interviene, a tratti, deus ex machina di bellezza, a ricordarci, con la sua voce rotta, la gloria eterna di una delle più belle canzoni d’amore mai scritte. E quando nel finale la Mitchell pronuncia quei versi immortali (“Still I'd be on my feet, I would still be on my feet”), vorresti solo essere lì, al suo fianco, e abbracciarla e dirle mille volte grazie.
E ora che l’anima brucia di emozione, arriva "Amelia", con Taylor Goldsmith alla voce, e non si fa a tempo a riprendersi dallo stordimento, che inizia "Both Sides Now", che non è solo una immensa signature song, ma il più poetico racconto sulla vita umana, la sua, la nostra. Joni la scrisse quando aveva vent'anni ed è diventata un successo grazie a Judy Collins. La Mitchell, però, registrò a sua volta il brano su Clouds (1969) e, poi, di nuovo, sul disco omonimo (2000) in chiave orchestrale. Questa è probabilmente la versione definitiva, quella che dà finalmente senso alle liriche di una canzone che fa i conti con l’imperscrutabile mistero dell’esistenza. Cantata a vent’anni suona di una bellezza acerba, quasi fosse un azzardo, uno sguardo sul futuro che lascia dubbi e un senso di inadeguatezza. Ascoltata da questa voce afflitta, che ha compiuto quasi ottanta primavere, "Both Sides Now" svela tutto il suo stordente pathos, è il testamento condiviso di una donna che è giunta a lambire i confini dell’eterno, e che ci sta dicendo una semplice cosa: non ho capito nulla della vita, ma è stato un viaggio straordinario.
Joni si cimenta anche con una versione lenta e jazzata di "Summertime", e ancora una volta quella voce stanca ma straordinariamente espressiva, lascia un graffio sul cuore. Ci sono ancora tante canzoni da raccontare ("Carey", "Come In Front The Cold", e la dimenticata, ma bellissima "Shine"), tutte arrangiate con gusto, e tutte imperfette, perché toccate profondamente da un’emozione palpabile, che fa di Newport una nuova, ultima, splendente Lauren Canyon.
L’album si chiude con l’immensa e corale "Circle Game", e nel cuore resta un’esplosione incontenibile di gioia, il ricordo di una serata meravigliosa, la sensazione di essere parti di un universo che, quando arriverà la fine dei tempi, sarà ancora lì, a raccontarci la meraviglia della musica, la meraviglia della Mitchell e delle sue canzoni. Lo sa bene, Joni, che quando tutto finisce, prende commiato con una grassa, commossa risata. E’ stato bellissimo, ora mi attende l’eternità.
VOTO: 9
GENERE: Folk, Americana
Blackswan, martedì 29/08/2023
1 commento:
non ci sono parole, solo lacrime ....
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