La corsa all'alba, la colazione al bar, poi nove ore di lavoro all'archivio del tribunale, una cena piena di silenzi e la luce spenta alle dieci: Carlo Cappai è l'incarnazione della metodicità, della solitudine. Dell'ordinarietà. Nessuno sospetta che ai suoi occhi quel labirinto di scatole, schede e cartelle non sia affatto carta morta. Tutto il contrario: quei faldoni parlano, a volte gridano la loro verità inascoltata, la loro richiesta di giustizia.
Sono i casi in cui, infatti, il tribunale ha fallito, e i colpevoli sono stati assolti "per non aver commesso il fatto" – in realtà per i soliti, meschini imbrogli di potere. Cappai, semplicemente, porta la Giustizia dove la Legge non è riuscita ad arrivare – sempre nell'attesa, ormai da quarant'anni, di punire una colpa che gli ha segnato la vita. Walter Andretti è invece un giornalista precipitato dallo Sport, dove si trovava benissimo, alla Cronaca, dove si trova malissimo. Quando il capo gli scarica addosso la copertura di due recenti omicidi, Andretti suo malgrado indaga, e dopo iniziali goffaggini e passi falsi comincia a intuire che in quelle morti c'è qualcosa di strano. Un legame. Forse la stessa mano...
Un noir che potremmo definire “sui generis”, dal momento che quasi tutto appare abbastanza chiaro fin dall’inizio del romanzo. Poco male, a dire il vero, perché il thriller è solo il nocciolo attorno al quale si addensa la polpa di qualcosa di più profondo, una narrazione che indaga l’animo umano e che affronta temi di spessore, che riguardano la giustizia, l’informazione, la colpa.
Manzini scrive benissimo, ma questa non è una novità, soprattutto per i tanti fan di Rocco Schiavone, che da tempo apprezzano quella scrittura asciutta, eppure al contempo poetica e attraversata da un fil rouge di malinconia, che è da sempre il segno distintivo della sua prosa.
Se la trama risulta forse un po’ scontata, lo scrittore romano la tiene, però, saldamente in mano, distribuendo con sapienza colpi di scena e dando all’azione un ritmo serrato, grazie anche alla doppia narrazione incentrata sui due protagonisti della vicenda. Per le strade di una Bologna torrida e afosa, si muovono, infatti, Carlo Cappai, un solitario archivista divorato dal senso di colpa e dal desiderio di vendetta, e Walter Andretti, un giornalista rassegnato alla mediocrità, che trova però nella ricerca della verità, un inaspettato guizzo vitale.
Due uomini comuni, imprigionati dalle pastoie di una vita ordinaria, che diventano lo spunto di una serie di riflessioni su temi che potremmo definire “alti”. In primo luogo, che cosa s’intenda davvero per giustizia, cosa sia lecito fare per ottenerla, quali limiti etici possono essere superati per curare le distorsioni di un apparato giudiziario corrotto. E poi, quale sia davvero la funzione del giornalismo, se adeguarsi al compitino per quieto vivere, cercare lo scoop a prescindere, infischiandosene della vita altrui, oppure ricercare la verità, costi quel che costi, obbedendo solo agli imperativi categorici della coscienza.
Tutti I Particolari In Cronaca, però, è forse, e soprattutto, un romanzo che parla dei sensi di colpa, dei fantasmi del passato (ma anche quelli del presente) con cui bisogna fare i conti ogni giorno, per sopravvivere, nonostante tutto. Perché è questo il vero fulcro di tutta la narrazione, il significato ultimo di un romanzo in cui il vero colpevole si nasconde nel profondo dell’anima: non siamo responsabili solo delle nostre azioni, ma lo siamo anche “di quello che non si è saputo evitare”.
Blackswan, martedì 02/07/2024
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