Il senso di Myles Kennedy per il rock. Così potremmo succintamente definire il terzo album solista del cantante degli Alter Bridge. Se Year Of The Tiger (2018) era uno sfogo acustico dopo una carriera prestata all’elettricità, e The Idles Of March (2021), uscito in piena pandemia, lambiva territori contigui al southern, questo nuovo The Art Of Letting Go vede Kennedy alle prese con quello che sa far meglio: suonare rock e suonarlo potente e senza fronzoli.
La
mano, in zona produzione, è quella del fidato Michael “Elvis “
Basquette, mentre a fianco del cantante e chitarrista si allineano due
musicisti con i contro zebedei, Zia Uddin alla batteria e Tim Tournier
al basso. Il risultato è un disco diretto e immediato, semplice ma non
privo di stratificazioni, trainato da un’energia debordante che dà
lustro alla solita, ineguagliabile voce, al tiro degli strumenti, tanto
tecnico quanto grintoso, e a una produzione capace di rendere super
moderno quel suono da power trio, le cui radici proliferano in un
terreno vecchio di decenni.
Ogni canzone gronda pathos ed è spinta da una tensione quasi palpabile, figlia di quel senso di libertà che si prova quando si fa ciò che si ama, senza vincoli, senza nessuno a cui dover rendere conto. E’ rock, puro e semplice, che nasce solo ed esclusivamente dal piacere di suonarlo, sprizzando sudore, appiccando incendi, strattonando l’ascoltare verso una purezza che manca a molta musica che si ascolta oggi.
Senza distogliere completamente lo sguardo dall’inevitabile retroterra blues ("Saving Face"), The Art Of Letting
Go è un disco che picchia duro, e che si muove sui quei terreni che
Kennedy frequenta a capo degli Alter Bridge o come spalla di Slash. Non
mancano, ovviamente, momenti più rilassati, in cui è la melodia
soprattutto ad accarezzare lo orecchie, come avviene nella malinconica
"Eternal Lullaby", un episodio che rallenta il passo di un disco che,
per converso, corre selvaggio, tenendo un ritmo impetuoso che non fa
prigionieri.
Il piatto forte, è quasi banale sottolinearlo, è la splendida voce di Kennedy, il cui timbro è tra i più immediatamente riconoscibili del panorama rock, e la sua performance che, come di consueto, lascia a bocca aperta, per tecnica, estensione, fantasia e per quella innata versatilità, grazie alla quale, anche nello stesso brano, può contemporaneamente accarezzare e scuotere selvaggiamente l’ascoltatore.
Ci sono, però, anche le canzoni, quasi tutte di livello, a partire da "Behind
The Veil", che inizia morbidissima e poi parte in derapata a cento
all’ora, fondendo echi settantiani e piglio moderno, l’ariosa e
trascinante "Miss You When You’re Gone", un brano che sembra scritto
apposta per essere ascoltato in macchina, i finestrini abbassati e un
vento di elettricità nei capelli, la scalpitante "Mr.Downside" o la
galoppante "Nothing More To Gain", che tira dritta come un fuso verso un
ritornello uncinante.
Senza nulla togliere ai due precedenti album solisti, entrambi decisamente buoni, The Art Of Letting Go è il disco migliore del cantante originario di Boston, quello che suona più Myles Kennedy di tutti, quello che ne conferma lo status di autentica potenza in ambito hard rock. Alzate il volume e lasciatevi travolgere da questa ondata di vibrante elettricità: pochi dischi rock, usciti quest’anno, sono all’altezza di cotanta potenza di fuoco.
Voto: 8
Genere: Rock, Hard Rock
Blackswan, martedì 05/11/2024
Nessun commento:
Posta un commento