giovedì 20 febbraio 2025

Toto - Isolation (Columbia, 1984)

 



Superfluo dirlo, ma è davvero difficile pescare male nella discografia dei Toto, mentre se peschi bene, il più delle volte, è probabile trovarsi per le mani un album, per cui la parola “capolavoro” non è spesa invano. E’ il caso, ad esempio, di Isolation, anno domini 1984, e successore di quel best seller che porta il nome di Toto IV. E’ possibile mantenere le vette celestiali raggiunte da un disco che inanellava nella propria scaletta un filotto di canzoni superlative, fra cui le hit sempiterne "Africa" e "Rosanna"?

I Toto, due anni dopo, ci provarono, e ovviamente, ci riuscirono, tra l’altro in un momento storico complicato da qualche problema interno. Bobby Kimball, storico cantante della band, viene cacciato per l’incapacità di gestire la dipendenza da droga e alcool (alcune sue parti vocali sono ugualmente mantenute sull'album) e se ne va anche il bassista David Hungate (che tornerà successivamente, nel 2015, per Toto XIV). Al loro posto, vengono reclutati Fergie Frederiksen alla voce (che presenzierà anche nel successivo Fahrenheit) e al basso Mike Porcaro, fratello di Steve e Jeff, già al servizio della band dal 1982. Due sostituzioni di peso, ma il cui livello tecnico mantiene costante la forza propulsiva della band, che inanella dieci canzoni di cristallina bellezza.

Isolation è un disco solo un po’ più rock del suo predecessore, i cui punti di forza, come di consueto, sono le melodie celestiali, il suono e gli arrangiamenti scintillanti (il sestetto si autoproduce e ne ha ben donde) e l’elevatissimo tasso tecnico dei componenti, tra cui spiccano David Paich e Steve Porcaro, le cui tastiere onnipresenti contornano la chitarra griffata di Steve Lukather, che dispensa riff cromati e assoli stellari con la sapienza di un vero e proprio califfo delle sei corde.

Come dicevamo, il disco mantiene le aspettative dal primo all'ultimo brano, a partire dall’opener "Carmen", l’ennesima canzone che porta il nome di una donna, vera e propria mania della band californiana. Partenza di slancio, velocità massima e un suono rotondo, che mette in evidenza il perfetto interplay fra le voci di Paich e Frederiksen, il sontuoso lavoro di Lukather alla chitarra e, come da tradizione, un ritornello da mandare a memoria al volo. La successiva "Lion" gioca con ritmiche vicine al funky, grande lavoro al basso e alla batteria dei fratelli Porcaro e ennesimo strabiliante contributo di Lukather che cuce il brano con la consueta fantasia.

"Stranger In Town", il primo singolo tratto dal disco, vede nuovamente Paich e Frederiksen scambiarsi il microfono, il ritornello è memorabile, e il sax che attraversa la canzone ne esalta il mood sensuale.

Difficile mantenere il livello di questa tripletta iniziale, ma la band vive un momento di grazia, trasformando in oro tutto quello che tocca. Ecco, allora, "How Does It Feel", zuccherina ballata che vede Lukather cimentarsi egregiamente alla voce, "Angel Don’t Cry" che sprinta veloce accendendo la fiamma del rock prima di un ritornello spettacolare, "Endless" che spinge verso il dancefloor col suo groove funky, e la title track, la cui spavalderia melodica mette nuovamente in evidenza il gusto della band nel creare arrangiamenti spettacolari. Chiude la scaletta "Holyanna", un divertito rock’n’roll dal gusto retrò, in cui Paich è protagonista assoluto al pianoforte e alla voce.

Isolation non riuscì nell’impresa di bissare le vendite del suo predecessore, ma si portò a casa, comunque, un disco d’oro, e non entrò nemmeno nelle grazie della critica, che vedevano in questo album un tentativo della band di clonare il suono dei Journey, gruppo che, all’epoca, vendeva milioni di dischi solo negli States. Tuttavia, come spesso accade, il tempo ha rimesso a posto le cose, e riascoltato oggi, Isolation si colloca nella top five dei migliori dischi dei Toto, oltre a rappresentare uno dei vertici dell’Aor di quel decennio.

 


 

Blackswan, giovedì 20/02/2025

 

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