Strano destino quello dei Vega4, talentuosa band nata durante la seconda ondata brit pop, sparita dai radar in un batter d’occhio e finita nel mare magnum dell’oblio musicale, dopo solo due album. Strano, perchè la proposta musicale del gruppo, che si affiancava a quella dei coevi Starsailor, Coldplay, Keane, solo per citare alcune delle band più in voga del momento, era di assoluto valore dal punto di vista della scrittura, che seppur in linea le sonorità imperanti nel momento storico, si distingueva per guizzi di cristallina bellezza.
Formatisi a Londra nel 1999, i Vega4 erano composti da Johnny McDaid (cantante e mente pensante del gruppo), Bruce Gainsford (chitarra), Gavin Fox (bassista) e Bryan McLellan (batterista), nessuno dei quali, strano a dirsi, di nazionalità britannica (McDaid e Fox erano irlandesi, McLellan canadese e Gainsford neozelandese). All’alba del nuovo millennio, i quattro firmano un contratto con l'etichetta indipendente Taste Media, e successivamente con due major, la Columbia Records per il Regno Unito e la Epic Records per gli Stati Uniti, a testimonianza del valore di un progetto che, invece, si concretizzò in solo due dischi, Satellites (2002) prodotto da John Cornfield e Ron Aniello, e You and Others (2006), prodotto da Jacknife Lee.
Se il primo disco fu un completo flop, il secondo ebbe un discreto successo negli Stati Uniti, trainato dal singolo "Life Is Beautiful", che finì anche nella colonna sonora di Grey’s Anatomy, e dai reiterati gossip sulla liaison fra il chitarrista Bruce Gainsford e Scarlett Johansson. Nonostante i numerosi concerti tenutisi nel periodo, la piccola stella Vega4 smise di brillare in poco tempo, e la band, nel 2008, si sciolse nell’indifferenza generale.
Eppure,
i due album pubblicati fino ad allora erano dannatamente buoni,
soprattutto l’esordio, di cui non si accorse nessuno e che oggi è stato
quasi del tutto dimenticato, anche da coloro che a quella seconda ondata
di brit pop avevano guardato con interesse.
Satellites è un viaggio sonoro di circa cinquanta minuti in territori le cui coordinate erano state abbondantemente tracciate, che evoca paragoni con le band più illustri del periodo, ma che denota anche la forte volontà di dare un connotato personale al suono. In tal senso, se le belle melodie richiamano gli anni d’oro del brit pop, i brani sono innervati da un surplus di elettricità, con la chitarra di Gainsford sempre in bell’evidenza, sia che traini il brano, sia come sottofondo disturbante o aggregante.
L’opener "Drifting Away Violently" è, in tal senso, un ottimo esempio di come i Vega4 concepivano i brani: riff grintosissimo, melodia cristallina nella sua immediatezza, e la chitarra che sotto traccia scartavetra con piglio psichedelico, accompagna accattivante, e sferra rumorose bordate elettriche, che ricordano un po’ i Radiohead dei primi anni. La stessa cosa avviene nella struggente e infuocata "Shoot Up Hill", in cui le scorribande elettriche di Gainsford imperversano per tutto il brano, distorte e malevole, nonostante il tema melodico malinconicissimo (un approccio che ai tempi era marchio di fabbrica anche degli scozzesi Idlewild).
La bravura dei Vega4, tuttavia, si concentrava soprattutto nella scrittura di midtempo dall’appeal radiofonico, come l’irresistibile "Radio Song" (titolo azzeccatissimo) o "Sing", più spigolosa ma confezionata (vedi la coda del brano) per un divertente singalong da stadio, e per l’indubbia capacità di ricamare dolci ballate agrodolci, cariche di struggente malinconia. E’ il caso della splendida "Loves Breaks Down", una specie di "Sonnet" dei Verve con una bustina di zucchero in più, della delicata "Burn And Fade Away", ballata per pianoforte e groppo in gola, o della conclusiva e lunga "Halleluja", anche questa in quota Radiohead, il cui drive melodico s’infrange contro il muro di una coda elettrica distorta e sferragliante.
Come questo disco sia riuscito a perdersi nell’oblio resta un mistero. Forse, era troppa l’offerta brit pop del periodo, e forse gli ascoltatori ne avevano fin sopra i capelli di una formula rimasticata per un decennio. Eppure, le undici canzoni in scaletta, pur non inventando nulla di nuovo, avrebbero meritato ben altra sorte, grazie a una scrittura consapevole e alla bravura della band di mettere fremente elettricità al servizio di melodie, non dissimili per brillantezza, a quelle di tante band coeve, che ebbero maggior successo.
Blackswan, martedì 11/02/2025
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