Quando nel 1973, Lindsey Buckingham e Stevie Nicks entrano al Sound City di Los Angeles per registrare il loro album d’esordio, sono due giovani di belle speranze, che sbarcano il lunario grazie alla Nicks, che mantiene vivi i sogni di gloria lavorando come donna delle pulizie e cameriera. Affiancati da Keith Olsen, produttore che aveva già messo mano al lavoro della James Gang, la band di Joe Walsh pre-Eagles, il duo, legato da una relazione sentimentale oltre che artistica, ottiene a fatica un contratto con la Polydor, ma nonostante le idee chiare, una produzione raffinata e un pugno di canzoni di livello, porta a casa un fiasco clamoroso in termini di vendite.
La Nicks, sconfortata dal pessimo risultato, è sul punto di mollare, anche in virtù di una promessa fatta al padre di tornare all’università in caso di insuccesso. Il fato, tuttavia, ha ben altri progetti per la coppia. Mick Fleetwood che durante le registrazioni del disco è presente negli studi, sente Buckingham suonare l’assolo su "Frozen Love" e se ne innamora perdutamente, chiedendogli di entrare a far parte dei Fleetwood Mac, a quei tempi in stand by discografico. Buckingham accetta, a condizione, però, che nel progetto venga inclusa anche la Nicks. Affare fatto: il sogno si avvera, i due musicisti entrano nella line up dei Mac e pubblicano, insieme al resto della band, l’omonimo album del 1975, un successo clamoroso grazie proprio alle idee della coppia mutuate dal loro trascurato esordio.
Del
quale, fino a oggi, nonostante la grande qualità delle composizioni,
esisteva solo la versione in vinile, praticamente introvabile, e
qualcosa in streaming, ma di qualità scadente. La Rhino ha rimesso mano a
quei nastri, li ha rimasterizzati e pubblicati su cd, per la gioia di
tanti fan dei Fleetwood Mac e di tutti coloro curiosi di poter
finalmente ascoltare in grazia di Dio, quello che può essere considerato
la matrice di tutti i successi che arriveranno dopo (in primis, Rumours).
In tal senso, Buckingham Nicks è un disco che miscela con gusto californiano pop, rock e folk, un raffinato melange racchiuso in dieci canzoni che trovano la loro peculiarità nei celestiali intrecci vocali fra i due musicisti, nella versatilità di Lindsey Buckingham, tanto elegante nel fingerpicking quanto incisivo nel plasmare assoli di chiara derivazione rock, e nella voce solista della Nicks, il cui timbro, mai privo di tensione drammatica, sa accarezzare con languore, conturbare nell’alternanza fra chiari e scuri, e sedurre con dirompente sensualità.
Alla scaletta, manca forse un po’ di quella furbizia che plasmerà i successi lavori dei Fleetwood Mac, ma il songwriting, sia disgiunto che in coppia, è già di livello stellare, mentre sono evidenti un po’ ovunque i semi di quel sublime suono Aor che in seguito verrà perfezionato in capolavori come “il nuovo esordio” del 1975 e Rumours del 1977.
"Stephanie", ad esempio, è un grazioso strumentale, dono d'amore che Buckingham scrisse per la Nicks mentre lei era a letto per una mononucleosi infettiva, ed è una delle tante canzoni che mettono in evidenza la raffinata tecnica del fingerpicking che il chitarrista avrebbe poi utilizzato in "Never Going Back Again", mentre "Lola (My Love)" richiama alla mente la celebre "The Chain", sviluppando un testo sessista per cui Buckingham oggi probabilmente arrossirebbe ("She does everything a woman can, When I come home").
"Crying
In The Night", nonostante il testo cupo che riflette le difficoltà
della Nicks di affermarsi nel mondo della musica, apre il disco mettendo
in mostra le incredibili doti vocali della cantante e regala
all’ascolto la purezza luminosa di un pop rock succoso come una pesca
addentata sotto il sole californiano.
Se è vero che Buckingham asseconda alla perfezione la scrittura della Nicks, per converso è evidente che lo stresso cerchi altre formule espressive più personali, come avviene in "Django", breve strumentale e cover dell’omaggio reso dal pianista jazz statunitense John Lewis al re del gypsy jazz, Django Reinhardt.
Dal canto suo, la Nicks offre alcune canzoni più eccentriche rispetto a ciò che sarà in futuro: la sua melodia vocale in "Races Are Run" possiede modulazioni meravigliose e davvero insolite, così come in "Long Distance Winner", un pezzo favoloso sulle difficoltà per un musicista di affermarsi, connotato dall’utilizzo di un guiro (uno strumento a sfregamento di origine africana) prominente e pruriginoso (e che assolo, Buckingham!).
In questi casi, come altrove, le sonorità ricche e vivide di Keith Olsen, cesellate da quello che in futuro sarà il fonico di Rumours, Richard Dashut, danno un potente impulso a rendere la scrittura della Nicks di una bellezza stordente.
Tra tanti gioielli, la gemma che fece perdere la testa a Mick Fleetwood è la conclusiva "Frozen Love", un superbo brano folk rock dalle trame quasi progressive, in cui le chitarre (acustica ed elettrica) di Buckingham si intrecciano, esattamente come le due voci vivono in un connubio celestiale, prima che la canzone rallenti sul fingerpicking del chitarrista e l’arrangiamento d’archi insuffli una tensione drammatica che sfocia in un assolo da capogiro.
Un ultimo appunto. Il più grande ostacolo alla realizzazione del disco, fu la copertina dell'album, in cui la Nicks e Lindsey compaiono nudi, ideata e realizzata dal fratello di Waddy Wachtel, Jimmy. La Nicks era semplicemente inorridita dall’idea di posare senza veli, e fu solo l’insistenza di Buckingham a convincerla che quella foto altro non era che semplice arte.
Blackswan, mercoledì 29/10/2025

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