martedì 24 febbraio 2015

LINEA 77 - OH!



Facile giocare sul titolo dell'album per imbastire una recensione del nuovo lavoro dei Linea 77. Il fatto è che, lo dico in accezione assolutamente positiva, non c'è più nulla riguardo al combo torinese che riesca a stupirci veramente, che riesca a farci esclamare Oh!. Il progressivo passaggio alla lingua italiana dopo gli inizi anglofoni, Tiziano Ferro che duetta con la band nel singolo Sogni Risplendono, l'alternanza qualitativa dei dischi (l'ottimo Horror Vacui seguito dall'incerto 10), i cambi di formazione, che hanno visto l'allontanamento per divergenze artistiche di Emi, e l'epocale colpo di sfiga che manda a ramengo sei mesi di lavoro e i premaster dell'Ep C'eravamo Tanto Amati, in uscita programmata per gennaio 2014 e invece mai pubblicato, sono alcuni degli episodi di un avventura musicale fuori dall'ordinario. Quindi, l'unica cosa che stupisce veramente di questo nuovo lavoro, è il fatto che i Linea 77 siano riusciti a mantenere dritta la barra del timone, a ritrovarsi dopo ben vent'anni di carriera con lo stesso piglio e la stessa energia degli esordi. Oh! rappresenta in tal senso un passo indietro e un passo in avanti. Indietro, perchè viene recuperata in toto la ferocia dei primi dischi, quando la proposta di questo hard-core nostrano non ammetteva concessioni alla melodia o si divertiva in derive autoironiche come da ultimo è successo con il singolo di un paio di anni fa, La Musica è Finita; in avanti, perchè il livello qualitativo delle dieci canzoni in scaletta ci restituisce una band sulla cui caratura internazionale non vi è dubbio alcuno: una band che punta alla potenza del live act e all'energia della presa diretta, accantonando i tentativi di sperimentazione, non sempre riusciti, delle ultime prove. Tinte fosche, ritmiche martellanti, fiotti di rabbia adrenalinica, riff urticanti e un ottimo lavoro sulla scrittura dei testi, che riescono a essere icastici e nel contempo citare Ungaretti, Il Gattopardo, Noam Chimsky e, financo, Mel Brooks (l'album si apre con una sequenza audio da Frankenstein Jr.). Il tutto centrifugato in un disco di metal core compatto, peso, che concede rarissime aperture melodiche (Luce) e fissa uno sguardo disilluso e nichilista sulla deriva etica, ormai irrimediabile, imboccata dal nostro paese. Nulla di cui stupirci, ma molto da ascoltare.

VOTO: 7,5





Blackswan, martedì 24/02/2015

lunedì 23 febbraio 2015

IL MEGLIO DEL PEGGIO




Riceviamo dalla nostra freelance Cleopatra e integralmente pubblichiamo.

"E' il giorno atteso da un'intera generazione, quello in cui si smette di far la guerra ai precari e la si fa alla precarietà. Ora, parole come mutuo, ferie, diritti, entrano nel vocabolario di una generazione"  (Matteo Renzi).

In questo Paese trionfa il paradosso. Quello che avrebbe potuto fare la destra, lo ha realizzato il centrosinistra. 
La riforma del lavoro, che di fatto smantella lo Statuto dei Lavoratori, nasce sotto il segno del Partito Democratico (chi l'avrebbe mai detto?), un partito che è diventato lo sponsor di Confindustria. Il Magnifico Premier, nonchè Segretario del Pd, definitosi "gasatissimo dai progetti di Sergio Marchionne", ha proclamato la totale contiguità con il capitalismo. E ha ancora la faccia tosta di proclamarsi appartenente al centrosinistra. Se una riforma epocale come il Jobs Act l'avesse partorita Silvietto, apriti cielo.
Milioni di italiani si sarebbero riversati nelle piazze con cartelli e striscioni da curva sud. Il Paese si sarebbe fermato. Invece, Matteone ha potuto contare sui numi tutelari, sul "ce lo chiede l'Europa" e su un clima di allarmante rassegnazione sociale. Perfino su buona parte della stampa che, a un anno dalla nascita del governo, lo incorona  come un riformatore illuminato. Poco importa se con il suo avvento si è assistito alla fine del confronto, alla subalternità verso la finanza e lobby di potere. Oggi, assistiamo impotenti al trionfo di un personalismo narcisistico e alla mortificazione della politica. E al dilagare di banalità e inconsistenza di certa opposizione che, alla fine, sarà risucchiata da un Premier piglia tutto. Diciamo la verità, Civati & C., quasi quasi, ci fanno un po' tenerezza. 
Renzi pensa di combattere la disoccupazione abolendo l'articolo 18, dunque. E' il gioco delle tre carte. Le aziende assumeranno lavoratori a tempo indeterminato, perchè più facilmente potranno licenziarli. E demansionarli, se occorre. Cosa non si fa per compiacere la Confindustria e, d'altronde, ce lo chiede l'Europa.
Ora, all'instancabile Premier tocca riformare la scuola, poi sarà la volta della Rai. La scure renziana si abbatterà implacabile. E saranno dolori. Ma è tempo anche di tensioni internazionali, Libia in testa. "L'Italia ha un servizio di intelligence che non è come la Cia, ma in Libia siamo i numeri uno... Conosciamo come stanno le cose e siamo in grado di intervenire". E' una barzelletta. 
Evidentemente, i nostri politici non sanno camminare e vogliono correre.
A Roma, nelle 36 che precedevano la partita Roma- Feyenoord, frotte di hooligans ubriachi devastavano indisturbati varie zone della capitale. Tutto si consumava sotto gli occhi impotenti e impauriti di cittadini e turisti. Questa è l'Italia in cui tutto è possibile, dove l'impunità regna sovrana e la Barcaccia del Bernini, in fondo, non è altro che la metafora di un Italia vulnerabile e indifesa.

Marianna Madia (PD) su Alessandro Di Battista: "Io e Di Battista amici? Beh, amici no, ma abbiamo fatto i catechisti assieme, a 20 anni, in una parrocchia a Roma. Poi lui è partito per le Ande...finchè un giorno me lo sono ritrovato in Parlamento, eletto con i 5 Stelle. Non ci siamo abbracciati, ma per me è ancora amico, anche se loro sono strani..."

Arrigo Sacchi: "Vedere così tanti giocatori di colore nelle squadre giovanili è un'offesa per il calcio italiano. Siamo un popolo senza orgoglio e dignità".

Gianluca Buonanno (Lega) su Twitter : "Voglio andare a Tripoli a incontrare il Premier Al Thani. Vado io perchè il governo italiano è formato da cagasotto".

Matteo Salvini (Lega): "Con gli immigrati è in corso un'operazione di sostituzione etnica coordinata dall'Europa...Il popolo padano è vittima di pulizia etnica".

Cleopatra, lunedì 23/02/2015 

COME SANREMO, PIU' DI SANREMO: LA FINALE

domenica 22 febbraio 2015

COME SANREMO, PIU' DI SANREMO




Oggi è il giorno della finale. A partire dalle ore 21.30 potrete ascoltarci su WWW.RADIOPANESALAME.IT e scoprire chi è il vincitore del Controfestival. Ci saranno sorprese, quindi non mancate. Anche perchè ne stanno parlando i giornali.




   Blackswan, domenica 22/02/2015

sabato 21 febbraio 2015

FATHER JOHN MISTY – I LOVE YOU, HONEYBEAR





Di questo disco si sta parlando già da molto tempo e io, invece, arrivo con colpevole ritardo. Il fatto è che, nonostante l’abbia ascoltato una quindicina di volte, faccio ancora fatica a comprenderlo. A entrare in sintonia con il mood delle canzoni. Insomma, è il capolavoro strombazzato dalla critica di mezzo mondo o, semplicemente, un disco molto sovrastimato ? Ma andiamo con ordine. Sotto il moniker di Father Jon Misty si cela il trentatreenne, originario di Baltimora, Joshua Tillman. Il nostro eroe è in circolazione ormai da più di dieci anni, ma è ricordato soprattutto per aver militato, dietro i tamburi, nelle fila dei Fleet Foxes, gruppo che ha lasciato dopo un paio di album, sbattendo la porta e lamentandosi di non avere adeguato spazio per esprimere la propria creatività artistica. Cosa, che peraltro ha fatto parallelamente, sfornando la bellezza di dieci album a titolo personale, alcuni sotto lo pseudonimo di cui sopra, altri, invece, con il proprio nome di battesimo. All’undicesimo lavoro, questo I Love You, Honeybear, pare abbia trovato la strada giusta per sorprendere e far parlare di sé. Capolavoro o album sopravvalutato ? Questo è il dilemma. Che il ragazzo abbia un’alta opinione di se stesso e una visione musicale alquanto pretenziosa, lo capiamo dando uno sguardo alla copertina, nel quale Gesù Bambino, in braccio alla Madonna, ha le sembianze, guarda un po’, dello stesso Tillman. Ironia, o autoironia, dirà qualcuno. Ci può stare, certo, ma il dubbio un po’ ci assale. C’è una canzone, poi, intitolata Bored In The Usa, che, lo capiscono anche gli illetterati, è una chiara presa in giro nei confronti di Born In The Usa di Springsteen e, per osmosi, di tutta la tradizione classic rock a stelle e strisce. Ci può stare anche questo, se non venisse il sospetto di un’eccessiva sicurezza dei propri mezzi (la canzone possiede una grande melodia, ma quelle risate da sit-com piazzate a metà brano e che citano I’m A Walrus dei Beatles, suonano non solo irriverenti ma anche sprezzanti). Alla produzione, poi, compare ancora Jonathan Wilson, grandissimo manipolatore di suoni, artista in bilico fra passatismo e rivisitazione del suono californiano anni ’70, che mette mano alla produzione con gran dispendio di mezzi e un approccio che è in antitesi a quello che gli anglosassoni sono soliti chiamare understatement, cioè basso profilo. Il risultato è una scaletta che si avvale di una suono omogeneo e coerente, ma al contempo lussureggiante ai limiti della autoreferenzialità. A questo punto, direte, siamo di fronte a un disco che sarebbe meglio evitare. E qui, invece, casca l’asino. I Love You, Honeybear, al netto di un’arroganza di fondo quanto mai irritante, è un buon disco. E’ un buon disco perché ci sono le canzoni e ci sono le melodie, alcune davvero irresistibili. Il folk agrodolce della title track, l’elettronica spiazzante di True Affection, la deliziosa melodia alla Byrds 2.0 di The Night Johs Tillman Come To Our Apartment e l’arpeggio colloquiale della conclusiva I Went To The Store One Day (perché l’arrangiamento d’archi?) sono autentiche gemme che possono uscire solo dalla penna di un grande artista. Eppure, mi resta in testa il dubbio che in I Love You, Honeybear il tasso di sincerità sia davvero ai minimi termini. E si sa: nell’arte la sincerità è tutto. O no ?

VOTO: dal 7 in su, scegliete voi il voto. 





Blackswan, sabato 21/02/2015