lunedì 24 giugno 2013

MISCELLANEE : PROVENZA



Questa volta inizio da un romanzo che devo assolutamente consigliare, “Il profumo “ di Suskind. Anche in questo caso, come nella maggior parte delle volte, hanno tratto un film con attori del calibro di Dustin Hoffman, ma non è per niente avvincente e interessante come il libro. La trama e' particolare: nella Francia del 18 secolo un orfano sviluppa sin dalla nascita una particolare capacità olfattiva. Riesce a sentire qualunque odore, ma la sua curiosità lo spinge sempre a cercare odori sempre nuovi. Grazie al suo dono, riesce a lavorare in un negozio di profumiere a Parigi, per poi decidere di migliorare andando nella località dove vengono prodotti i migliori profumi del mondo, Grasse, in Provenza.
Non proseguo con il racconto, se non dicendo che e' anche un thriller, ma suggerisco di leggerlo. È uno di quei libri che ti fanno perdere la stazione della metropolitana dove devi scendere (non so voi, ma a me purtroppo e' capitato......)
Mi collego quindi parlando della magnifica Provenza, luogo da visitare soprattutto in estate quando la fioritura della lavanda e' al massimo e i campi sono di un unico colore, il viola. Immaginate il profumo abbassando il finestrino dell' auto. Grasse ancora oggi e' considerata il caposaldo della produzione dei profumi. E' una magnifica cittadina medievale, e vale sicuramente una visita.
Vi consiglio la visita anche di un altro paese, Saint Paul de Vence.
Prendete un "pain au chocolat " in una brasserie del paese, camminate nelle stradine alla ricerca di magnifiche botteghe che vendono lavanda, andate a vedere la pista della "petanque"(il gioco delle bocce stragiocato in questa zone)
Ultimo suggerimento per un week end, scendete poi al mare, andate a Cannes  e imbarcatevi per le isole Lerins, in particolare per Santa Margherita, la più grande. queste isole si trovano a brevissima distanza dalla città del festival e sono molto belle. Santa Margherita soprattutto e' conosciuta per conservare la cella della maschera di ferro, personaggio leggendario (o no?) che incrocia il suo destino con quello di Luigi XIV. Ovviamente  non dimenticatevi di degustare qualche vino della zona. Non aspettatevi vini a livello Bordeaux, ma i vini rossi di questa zona sono piacevoli al gusto grazie alla coltivazione in clima mite.

MoneyPenny, lunedì 24/06/2013

domenica 23 giugno 2013

PALMS – PALMS



In tanti anni di ascolti ho imparato che quando si parla di “supergruppo” occorre mantenere la massima circospezione, dal momento che l’etichetta spesso cela operazioni di natura meramente commerciale, in cui ciò che davvero conta sono soprattutto i nomi dei protagonisti coinvolti piuttosto che la musica. Il progetto Palms tuttavia possiede un fascino che altre operazioni non hanno, visto che non riesuma vecchi dinosauri da museo del rock, ma ospita invece sotto un unico aka le migliori (e combattive) avanguardie dell’esercito post e nu metal. Tre quinti degli ISIS (Aaron Harris alla batteria, Jeff Caxide al basso e Bryant Clifford Mayer alla chitarra), scioltisi nel 2010, e Chino Moreno, leggendario cantante dei Deftones, sono davvero un richiamo irresistibile per chiunque abbia vissuto con passione quella stagione creativa a cavallo tra la fine degli anni ’90 e l’inizo degli anni ’00, in cui l’heavy metal trovò nuova linfa vitale nella contaminazione e nella sperimentazione. Eppure, basta un rapido ascolto del disco per capire che i territori esplorati dai Palms hanno davvero ben poco a che vedere con i fasti gloriosi di quel periodo. Chi si aspetta di ritrovarsi immerso nella desolazione post atomica di Panopticon o di essere aggredito dal furore arrembante di White Pony, resterà deluso. Le sei canzoni di Palms ereditano dagli Isis solo la lunghezza delle trame sonore e dai Deftones l’eclettismo vocale di Moreno. Il metal è praticamente sparito, ne esistono solo piccole scorie che vengono metabolizzate velocemente da un organismo la cui struttura genetica ha subito una mutazione post-rock. Insomma, Palms suona come un cd dei Mono, nel quale però sono confluiti elementi ambient, space e shoegaze. Un disco ben suonato, ricco di soundscapes malinconici e sognanti, che si muovono in leggero controtempo, tra dilatazioni agro-dolci e  avvolgenti crescendo. Alcune belle canzoni (i dieci minuti di Mission Sunset su tutte) e altri momenti, invece, ai quali, un andamento eccessivamente verboso, toglie slancio e incisività.

VOTO : 6,5




Blackswan, domenica 23/06/2013

sabato 22 giugno 2013

QUEENS OF THE STONE AGE – LIKE CLOCKWORK



Il mio personale flirt con Josh Homme ebbe inizio tanti anni fa, nel 1992, per essere precisi, quando i Kyuss, di cui Homme era chitarrista, diedero alle stampe Blues For The Red Sun, loro terzo album nonché pietra filosofale del movimento stoner. I Kyuss durarono il lampo di una breve ma intensa stagione (5 anni e 5 album), durante la quale regalarono alla storia un nuovo suono e un paio di dischi da tramandare ai posteri. Poi, a causa di gelosie e dissapori interni, ognuno se ne andò per la sua strada : Nick Oliveri formò i Mondo Generator, John Garcia si divise fra la passione per la veterinaria e gli Unida, e Josh Homme diede vita ai Queens Of Stone Age, con i quali calca le scene ormai da quindici anni. Like Clockwork è il sesto album in studio dei QOTSA ed esce a distanza di più di un lustro da Era Vulgaris (2007), un disco che aveva suscitato pareri controversi e disatteso molte aspettative. In tutto questo tempo, però, Homme non è rimasto con le mani in mano : si è speso per il progetto The Croocked Volture e soprattutto ha imbastito l’inteialatura di questo nuovo disco, ripensando a come lucidare il marchio di fabbrica e stringendo collaborazioni importanti, dal momento che in Like Clockwork tornano a suonare con lui sia Nick Oliveri che Dave Grohl, ma soprattutto Alex Turner, Trent Reznor, Mark Lanegan e Elton John, che si cimenta nell’ orecchiabile Fearweather Friends. Cosa aspettarsi dunque da questo nuovo disco ?  





Intanto, un pugno di canzoni immediatamente riconducibili alla scrittura di Homme, anche se l’impressione che si trae è quella di un approccio alla composizione più ragionato e meno istintivo. Ne consegue che il disco produce la sua massima resa dopo svariati ascolti, quando, al di là dei soliti riff d’impatto immediato (I Sat By The Ocean), si coglie lo sforzo del chitarrista di imbastire trame più complesse e di spiazzare l’ascoltatore con soluzioni desuete. Così, ad esempio, dal lotto spuntano Kalopsia, altalenante patchwork di morbidi languori e improvvise esplosioni elettriche, If I Had A Tail, in cui il cantato nervoso alla David Byrne porta per un istante a pensare ai Talking Heads, o un singolo come My God Is The Sun, che cresce solo alla distanza, risultando comunque anomalo nella sua non facile digeribilità. Il repertorio che ci aveva fatto innamorare dei QOTSA tuttavia non manca, e i fans della prima ora ritroveranno il passo polveroso dello stoner, fiammate di psych-metal e cupe risonanze doom (Keep Your Eyes Peeled). In definitiva, Like Clockwork è un disco solido, strutturato, privo di filler e riuscitissimo in tutte le sue multiformi espressioni, sia quando i tempi si dilatano (il notturno malinconico di The Vampyre Of Time And Memory) o accelerano arrembanti (il funk anarcoide e noise di Smooth Sailing). Così si può perdonare a Homme un disco incerto come Era Vulgaris e l’averci fatto attendere così tanto per restituirci una vena creativa finalmente all’altezza della fama delle Regine. Bentornato.

VOTO : 7,5




Blackswan, sabato 22/06/2013

giovedì 20 giugno 2013

CRONACA DI UN SUICIDIO - GIANNI BIONDILLO

Una semplice vacanza a Ostia, con la figlia Giulia. Doveva essere un momento di relax per l'ispettore Ferraro: qualche giorno di distensione per cercare di cost uire un nuovo rapporto con quella ragazzina in piena adolescenza. Durante una nuotata al largo una barca alla deriva attira la loro attenzione. A bordo un biglietto lascia intendere che qualcuno ha deciso di porre fine alla sua vita. "Perdono tutti e a tutti chiedo perdono", c'è scritto. E sotto, "Non fate troppi pettegolezzi". Parole prese in prestito da Cesare Pavese, che Giulia, lettrice appassionata, riconosce subito. Una volta chiamati i colleghi di Roma, la faccenda sembrerebbe finita lì per Ferraro, se non fosse che il suicida ha lasciato un'ex moglie a Milano, e all'ispettore tocca l'ingrato compito, tornato a casa, di informare la donna. E così, suo malgrado, in una calda estate milanese, Ferraro si trova coinvolto insieme alla figlia in un'indagine sul destino di un uomo qualunque, Giovanni Tolusso, che partito dal nulla era riuscito caparbiamente a costruirsi una vita dignitosa. Fino a quando, in un'assolata mattina romana, il recapito di una cartella esattoriale aveva segnato l'inizio della sua fine... Il più kafkiano dei gialli di Biondillo, il più disperato, il più intimamente legato alla crisi economica che stiamo vivendo in questi anni difficili, in cui le nostre illusioni sembrano crollare, una a una, impietose. 

Un grande romanzo. Se dovessi esprimere in modo icastico un giudizio su Cronaca DUSuicidio, di getto, senza pensarci un secondo, lo definirei così. Non è solo la scrittura di Biondillo che, libro dopo libro, è diventata sempre più raffinata, senza aver perso tuttavia quella scorrevolezza colloquiale e quell'efficacia visiva che gli consente, con pochi tratti, di  rendere vivida e palpitante la realtà dei suoi personaggi, quasi si avesse l'impressione di poterli toccare con una mano, come se appartenessero al nostro quotidiano e potessimo incontrarli dietro l'angolo, appena usciti di casa. La grandezza di Cronaca Di Un Suicidio vive anche, e soprattutto, in un'anomalia. L'intreccio narrativo infatti disattende fin da subito le aspettative del lettore, dal momento che l'indagine è solo un pretesto e non c'è un colpevole da scoprire, perchè il morto è un suicida. Anche l'Ispettore Ferraro è relegato a un ruolo (apparentemente) marginale : non è più il poliziotto protagonista a tutto tondo che era stato nel precedente I Materiali del Killer, ma si tiene in disparte e osserva, con gli occhi preoccupati di un padre che guarda con trepidazione al futuro di sua figlia. Ferraro, insomma ha dismesso i panni dello sbirro, non indaga più, cerca semmai di comprendere, si trasforma nella nostra coscienza, incarna il punto di vista morale che osserva la tragedia di un popolo caduto in disgrazia. Protagonista del romanzo è invece la cronaca dei nostri giorni, quella cronaca che leggiamo sulle pagine dei giornali serviti a colazione, insieme a un carico disperato di morte e rovina, insieme al racconto di uomini onesti abbandonati al loro destino e di lestofanti che invece la fanno sempre franca. Una cronaca che fra qualche anno sarà Storia, la Storia di un Paese in cui un uomo perbene, come Tolusso, viene stritolato dagli ingranaggi kafkiani di un sistema che si regge su gabelle, prebende e tangenti, e su una burocrazia stolida e implacabile. La Storia di un popolo incapace di aprire gli occhi e di ribellarsi, di un popolo messo con le spalle al muro e costretto a scegliere la via di fuga fra due uniche alternative: da una parte, l'impunità e il sottefugio, dall'altra, un calvario di stenti e di umiliazoni che conduce, in difesa dell'etica, fino all'atto estremo del suicidio. Un giorno, quando questa cronaca sarà diventata Storia, torneremo a leggere il romanzo di Biondillo e capiremo esattamente in cosa si è trasformato oggi il nostro paese: una Spoon River di uomini giusti, come il protagonista del romanzo, uccisi dalla precarietà. Su ogni lapide, lo stesso epitafio: "Gli portarono via ogni cosa. La dignità, soprattutto". Amaro, disilluso e con un finale che spiazza. Un grande romanzo.

Blackswan, giovedì 20/06/2013

mercoledì 19 giugno 2013

PISTOL ANNIES - ANNIE UP


Che siano belle non occorre portare gli occhiali per accorgersene. Che siano anche brave, invece, ce lo dice Neil Young, che nella sua autobiografia, pubblicata a inizio anno, le definisce il suo gruppo preferito del momento. Con uno sponsor come zio Neil c'è davvero poco da dire, occorre solo mettersi le cuffie e farsi ammaliare dalle voci di queste tre splendide ragazze americane, che hanno sostituito, nell'immaginario collettivo degli appassionati del country, le leggendarie Dixie Chicks. Le Pistol Annies sono un trio composto da Ashley Monroe, enfant prodige, nata Knoxville (Tennesse), ventisette anni fa, già al fianco di vere e proprie stars come Dolly Parton, Jack White e Wanda Jackson, la ventinovenne Miranda Lambert, che ha conseguito più Grammy Award di quanti capelli abbia in testa, e la meno nota Angaleena Presley. Un supergruppo, insomma, fondato nel 2010, con già un album all'attivo (Hell On Hells del 2011), che ha scalato rapidamente le charts americane, tanto da arrivare alla posizione numero 5 di Billboard. Annie Up è il proseguimento naturale del disco d'esordio, dal quale si differenzia semmai per una cura maggiore negli arrangiamenti che risultano più ragionati e bluesy. Così le canzoni risultano maggiormente strutturate e comunicative rispetto a quelle che avevamo già apprezzato nel primo album : un solido country(rock) sponda Nashville, epurato da ogni eccesso retrò, in favore invece di un suono attuale e aperto alle contaminazioni. La scaletta, composta da dodici brani, alterna ballate dal sapore agro-dolce (la malinconica Dear Sobriety) a momenti più accelerati, come nel divertente (e irreverente) singolo, Hush Hush, dagli accenti marcatamente rockabilly. La migliore del lotto è però l'intensa I Feel A Sin Comin' On, il cui inizio a cappella vira rapidamente in un crescendo blues-gospel da brividi. Un disco tutto al femminile, dunque, che, trovando un perfetto equilibrio fra tradizione e modernità, suona onesto e intenso e si candida a ripercorrere la strada del successo già intrapresa da Hell On Hells.
VOTO : 7 



Blackswan, mercoledì 19/06/2013