mercoledì 5 agosto 2020

PREVIEW




Corey Taylor annuncia l'uscita dell'album di debutto solista "CMFT" venerdì 2 ottobre. Guarda il video ufficiale di "CMFT Must Be Stopped".
Cantante e cantautore vincitore di un GRAMMY® Award, attore e tra gli autori best seller del The New York Times, Corey Taylor annuncia l’atteso album di debutto solista “CMFT”, in uscita venerdì 2 ottobre su etichetta Roadrunner Records. Inoltre il frontman di Slipknot e Stone Sour presenta i primi due singoli dell’album: “Black Eyes Blue” e “CMFT Must Be Stopped” [feat. Tech N9ne & Kid Bookie].
I due singoli introducono e illuminano l’ampio spettro sonoro che caratterizza questa opera di intrepido ed infuocato rock’n’roll, nella quale Taylor abbraccia influenze che vanno dall’hard rock al classic rock passando per punk rock e hip hop. In “Black Eyes Blue” la voce di Taylor suona nostalgica mentre in “CMFT Must Be Stopped” le sue rime richiamano il primo album degli Slipknot e si intrecciano con le spietate metriche dell’artista multiplatino Tech N9ne e dell’MC inglese Kid Bookie. Il video ufficiale di “CMFT Must Be Stopped”, diretto da DJay Brawner, vede Taylor insignito della cintura da campione CMFT, consegnatagli da amici come Marilyn Manson, Lars Ulrich, Rob Halford, Chris Jericho, ZillaKami e altri importanti cameo.
“CMFT” è frutto di un processo che ha impegnato Taylor per molto tempo, con brani scritti negli scorsi mesi e altri che risalgono agli anni della sua adolescenza. Registrato agli Hideout Studio di Las Vegas, con il produttore Jay Ruston e la sua band (Christian Martucci [chitarra], Zach Throne [chitarra], Jason Christopher [basso] e Dustin Robert [batteria]), l’album traccia una mappa selvaggia ed esilarante della psiche musicale di Taylor. La frenetica e veloce “HWY 666” apre le danze con un diabolico fremito, mentre “Silverfish” mette da parte il songwriting acustico di Taylor a favore di un funambolico equilibrio tra accattivanti passaggi e pesanti influenze. Una minacciosa linea di basso cede il passo a chitarre di ispirazione hendrixiana in “Culture Head” e le suadenti melodie al pianoforte di “Home” offrono uno sguardo senza filtri sull’immenso spettro vocale di Taylor.





Blackswan, mercoledì 05/08/2020 

martedì 4 agosto 2020

MARGO PRICE - THAT'S HOW RUMORS GET STARTED (Loma Vista, 2020)

Chi conosce e segue Margo Price fin dal suo debutto, alle prime note di questo nuovo That’s How Rumors Get Started, si domanderà: ma è proprio lei? Già, perché se non fosse per quel timbro di voce immediatamente riconoscibile, questa raccolta di canzoni risulta davvero lontana mille miglia da quel suono che abbiamo imparato a conoscere nei primi due album. Midwest Farmer’s Daugther del 2016 e All American Made, uscito l’anno successivo, erano due dischi visceralmente country: il primo, tanto convincente che l’autorevole rivista Fader definì la Price la nuova stella del country e Pitchfork, Rolling Stone e Npr Music spesero fiumi d’inchiostro per elogiarne il talento; il secondo, ancora più legato alla tradizione e percorso da molte riflessioni di natura politica, confermava tutti i giudizi positivi dati alla prova d’esordio, con una rinnovata dose di entusiasmo da parte della stampa americana.
Quei due dischi uscirono sotto l’egida della Third Man di Jack White ed erano affidati alla produzione di Matt Ross – Spang e Alex Munoz. Oggi, Margo Price inizia la sua rivoluzione artistica, partendo proprio da casa discografica e produttore. That’s How Rumors Get Started esce, infatti, per la Loma Vista e dietro la consolle si siede Sturgill Simpson, acclamato songwriter originario del Kentucky, che ha percorso la medesima strada della Price, partendo dal country per poi approdare in altri lidi.
E deve essere stato proprio lui a convincere Margo della possibilità di spostarsi dalla casa madre per tentare una nuova avventura verso generi che in passato erano stati solo sfiorati. Le dieci canzoni in scaletta, infatti, suonano prevalentemente pop rock, strizzano l’occhio, almeno in alcuni casi, a sonorità radiofoniche, si scrollano di dosso la polvere del country old style dei due predecessori, pur mantenendo nella declinazione un vellutato accento sudista.  
Simpson, poi, ha messo al servizio della Price un pugno di musicisti coi fiocchi: il chitarrista Matt Sweeney (Adele e Johnny Cash), l’allampanato bassista Pino Palladino (Phil Collins, John Mayer Trio, Jeff Beck, Pino Daniele), il batterista James Gadson (Aretha Franklin, Marvin Gaye), e soprattutto l’ex Heartbreaker, Benmont Tench, il cui pianoforte è spesso protagonista in queste nuove, bellissime canzoni.
La title track posta in apertura è la cartina di tornasole del nuovo corso: uno splendido drive di piano ricama attorno a una melodia pop orecchiabilissima ghirigori seventies che rimandano immediatamente ai Fleetwood Mac, in quota Stevie Nicks. Letting Me Down, scelta come secondo singolo, resta da quelle parti e uncina con un’altra riuscita melodia e un gagliardo lavoro alle chitarre. In Twinkle Twinkle, Margo sfodera un’inusitata grinta rock: chitarra distorta, ritmica quadrata e il solito lavoro di Tench, questa volta all’hammond.
Basterebbero questi tre pezzi iniziali a marcare la distanza fra le due parti di carriera e a suggerirci che è nata un’artista nuova di zecca. La Price, però, tira fuori dal cilindro ulteriori sorprese: la superba Stone Me, Pettyana al midollo, la dance pop di Heartless Mind, caratterizzata da uno sbarazzino lick di tastiere, il rock blues classico della sofferta What Happened To Our Love?, gli afrori sudisti del country gospel di Prisoner Of The Highway (ancora Tench sugli scudi). Tutte sonorità, queste, aggiunte a un songbook mai come ora eclettico e ispirato. Chiude il disco I’d Die For You, ballata scartavetrata da una ruvida chitarra elettrica, ma dal cuore morbidissimo, in cui la prova vocale della Price è di quelle che lasciano il segno.  
That’s How Rumors Get Started farà probabilmente storcere il naso a quanti avevano amato i primi due album e a coloro che preferiscono l’ortodossia all’eclettismo; tuttavia, in questa nuova dimensione, è evidente che la Price abbia trovato maggior consapevolezza e abbia dato ulteriore profondità a un songwriting decisamente in crescendo. Merito suo, certo, ma anche merito di Sturgill Simpson che ha saputo trarre il meglio da un artista ricca di talento. Quindi, per parafrasare il titolo del disco, fate girare la voce e consigliate a tutti That’s How Rumors Get Started. Ne vale davvero la pena.

VOTO: 8 





Blackswan, martedì 04/08/2020

martedì 21 luglio 2020

CHIUSO PER FERIE



Il killer, come ogni anno, si prende qualche giorno di ferie. Riapriremo i battenti ad agosto. Buone vacanze a chi va e buona continuazione a chi resta.
A presto!

Blackswan, martedì 21/07/2020

lunedì 20 luglio 2020

THE JAYHAWKS - XOXO (Sham, 2020)

Mark Olson, si sa, se n’è andato, e la dipartita sembrerebbe definitiva, anche se in passato, a onor del vero, si era già allontanato dalla band, per farvi poi inaspettatamente ritorno (per contribuire alla stesura di quel gioiellino intitolato Mockingbird Time - anno domini 2011). Una separazione quella tra Olson e Louris, l’altro titolare del marchio Jayhawks, che ha messo fine a una delle coppie più prolifiche degli anni ’90, quella che, per intenderci, aveva dato i natali a due gioielli di alt country quali Hollywood Town Hall (1992) e Tomorrow The Green Grass (1995), capitoli imprescindibili della storia musicale americana del decennio.
La mazzata avrebbe fatto affondare la nave Jayhawks, se Louris, a dispetto di tutto, non avesse preso saldamente in mano il timone e avesse tenuto in vita, tra alti e bassi, una band che sembrava destinata a sparire dai radar. XOXO (baci e abbracci) esce a distanza di due anni da Back Roads and Abandoned Motels e a quattro da Paging Mr. Proust, due dischi di buona fattura, che se da un lato mettevano in mostra il songwriting (prevalentemente) ispirato di Louris, dall’altro segnavano inevitabilmente la differenza qualitativa tra i Jayhawks con Olson e quelli senza.
La stessa cosa succede per questo nuovo lavoro, in cui Louris ha dato spazio ai fidi sodali Marc Perlman (basso), Karen Grotberg (voce e tastiere) Tim O’Reagan (batteria), che si sono cimentati nella composizione dei brani. Il risultato, come per i due predecessori è più che discreto, anche se, a ben vedere, in alcuni frangenti (Ruby, Illuminate), la scrittura palesa perdita di smalto ed evidenzia momenti di stanchezza, tipica di chi si limita a fare il compitino senza troppa convinzione.
Certo, non mancano episodi notevoli, di quelli che nel tempo ci hanno fatto innamorare perdutamente della band. This Forgotten Town è il classico gioiellino Jayhawks rilucente di melodia cristallina, Dogtown Days mostra il lato più rock del gruppo, sfoggiando un cazzutissimo riff stonesiamo, e il piano blusey di Living In a Bubble regala ai fan una di quelle canzoni che si trasformano in istant classic fin dal primo ascolto. Gli intrecci vocali, come sempre calibrati e fascinosi, impreziosiscono Homecoming, che diversamente sarebbe suonata un po' sciapa, mentre la straordinaria linea di basso e il ritornello beatlesiano fanno di Little Victories uno dei brani migliori del lotto.
La trasognata morbidezza di Looking Up Your Number chiude benissimo un disco non tutto al livello qualitativo dei brani citati, anche se, ben inteso, non c’è nulla davvero da buttare. Semplicemente, in scaletta ci sono canzoni poco incisive, prive di quella luce e di quei colori che da sempre caratterizzano le cose migliori dei Jayhawks. Nel complesso, però, XOXO, pur senza incantare, tiene bene alla distanza e si fa ascoltare con piacere. Tre brani in più (discreti) nella versione deluxe.

VOTO: 6,5





Blackswan, lunedì 20/07/2020

venerdì 17 luglio 2020

PAUL WELLER - ON SUNSET (Polydor, 2020)

La lunga carriera di Paul Weller, dai Jam fino a quest’ultimo On Sunset, è sempre stata caratterizzata da una disarmante regolarità, un disco via l’altro, intervallati da pause al massimo di tre anni. Il songwriter di Woking è guidato evidentemente da un’inesausta ispirazione, con cui talvolta ha spostato il baricentro della propria narrazione (il penultimo True Meanings del 2018), rimanendo però fedele a se stesso e mantenendo pressoché invariata la qualità della proposta.
Superata di slancio la boa dei quarant’anni di carriera e giunto al quindicesimo album in studio, Weller continua a di mostrare una classe infinita e una capacità di scrittura sopraffina. In tal senso, On Sunset confeziona elegantemente in dieci canzoni l'essenza del Weller pensiero, con una forbice stilistica che parte dall’avventura eighties con gli Style Council fino ad arrivare alla delicatezza intimista del già citato True Meanings.
E’ un Weller rilassato, ma non appagato, quello cogliamo nelle dieci canzoni dell’album, che maneggia con sapienza da venerato maestro la consueta materia soul pop, con vista sugli anni ’60, scossa, talvolta, da un mai sopito ardore rock e da una propensione naturale per la declinazione psichedelica.
In tal senso, la splendida apertura di Mirror Ball è un sorta di zibaldone dei pensieri musicali che affollano la testa dell’ex Jam: il velluto orchestrale e sixties dell’incipit, il senso della melodia che ti cattura con una sola strofa, la consapevolezza per il soul e per la ritmica che pochi possiedono, la capacità di rendere un brano lineare in qualcosa di più complesso e seducente. Pochi bianchi al mondo, poi, sanno divertire con dei r’n’b così clamorosamente vintage e prevedibili (Baptiste) che però ti acchiappano al volo con l’immediatezza del pop più ruffiano, o, per converso, sanno declinare l’antico verbo funk una visione moderna e spolverata di elettronica (Old Father Tyme).
Numeri da autentico guru, che aprono un disco capace di conquistare anche con la retromania alla Style Council di Village (c’è Mike Talbot all’hammond) e col deragliamento jammistico della favolosa More (che arrangiamenti!), pronta per essere l’abbrivio all’improvvisazione per i futuri concerti, oppure sedurre con i languori dandy della title track, lo sguardo pacificato e sereno verso il sole che tramonta lontano, accarezzandoci il viso con la prima brezza della sera.
Il disco, pur mantenendo integra la propria eleganza formale, cala leggermente nella seconda parte, che risulta meno ispirata, con due episodi piacevoli ma tutto sommato prescindibili (Equanimity e Walkin), con Earth Beat, altro gioiellino alla Style Council, preso in prestito dallo scrigno dei ricordi e lucidato con un po' di elettronica, e con Rockets, ballatona avvolta in una languida e melodrammatica coltre d’archi.
Nella versione deluxe ci sono cinque brani in più (degna di nota I’ll Think Of Something) che però non aggiungono nulla alla sostanza di un disco centrato e splendidamente suonato, che, a dispetto del titolo, testimonia di un livello d’ispirazione ben lontano dalle ombre del tramonto.

VOTO: 7





Blackswan, venerdì 17/07/2020