Il buon vecchio Vincent Damon Furnier ne sa una più del diavolo. Solo due anni fa pubblicava Road, un disco scalciante e ispiratissimo, che lo ricollocava, dopo qualche momento di appannamento, nell’empireo dei più grandi di sempre. Oggi, il sesttantasettenne rocker di Detroit si riappropria nuovamente del suo leggendario passato, rimettendo in piedi la band dei giorni di gloria, per un disco dal profumo nostalgico, ma non privo di ironica verve.
Un’operazione che, tenuto conto dei dati meramente anagrafici, sa tanto di chiusura del cerchio, di punto esclamativo finale. Ci può stare. Così, a 56 anni di distanza dal debutto datato 1969, Cooper chiama a raccolta tre dei quattro membri della sua vecchia band, Dennis Dunaway (basso), Neal Smith (batteria), Michael Bruce (tastiere), e riesuma anche vecchie registrazioni della chitarra di Glen Buxton (deceduto quasi vent’anni fa), affidando la produzione a Bob Ezrin, geniaccio a cui Alice deve molto in termini di successo.
Non siamo, però, di fronte a un disco autoreferenziale. C’è semmai tanta voglia di divertirsi, di godere del piacere di una rimpatriata coi vecchi amici, di provare l’effetto che fa a suonare di nuovo tutti insieme. Niente prosopopea, ma un approccio deliberatamente ironico, a partire dal titolo (The Revenge Of Alice Cooper) e dalla copertina che emula i manifesti degli horror b-movie anni ’50.
E non è un caso che il disco inizi con la voce del nostro che, fuori campo, recita:
"Penso che mi nasconderò tra le tue lenzuola
Avvolto tra le pieghe così bianche
Ti guarderò solo quando dormirai, tesoro
E deciderò se morderti".
Più Alice Cooper di così è impossibile, anche se, in questo caso, sembra più una presa in giro, come a voler esibire una caricatura di sé stesso, per togliere ogni aura di serietà al progetto: fateci divertire un’altra a volta a rifare quello, per cui, un tempo lontano, avevamo scandalizzato il mondo, regalandoci gloria eterna.
Prendiamolo
così, questo nuovo disco del buon Furnier, senza aspettarci altro che
un pugno di canzoni risapute e ben fatte, che non aspirano all’eternità
ma sono ancora in grado di farci divertire.
Il disco, diciamolo senza remore, palesa più di un difetto. E’ troppo lungo per essere davvero incisivo (capita farsi prendere la mano quando ci si ritrova dopo tanto tempo), ha come bussola gli anni ’70 (la mano di Ezrin ha cesellato un perfetto suono vintage), ma resta un po’ troppo frastagliato, dal momento che in scaletta vengono accostati brani con stili diversi e concepiti partendo anche da idee sparpagliate in un lunghissimo arco temporale.
E
per quanto non ci sia nulla di davvero inascoltabile, non tutte le
canzoni sono all’altezza di cotanta fama, risultando un po’ prevedibili e
incapaci, spesso, di replicare il tiro minaccioso e iconoclasta del
padre dello shock rock. Non aspettatevi, quindi di riascoltare "School’s
Out" o "Billion Dollar Babies", anche se, per fortuna, la scintilla che
un tempo aveva generato quei capolavori, ogni tanto riaccende l’antica
fiamma e ci regala chicche sparse.
"Black Mamba", che apre il disco con il suo ritmo viscido e Cooper nei panni del nefasto ragno, è una partenza credibile, così come la successiva "Wild Ones", hard rock vecchia scuola, che spinge sull’acceleratore e tira fuori un ringhio di ritornello che morde alla giugulare.
Nè sfugge l’ironia con cui Alice affronta il tema dell’invecchiamento sfoderando il riff scolastico, ma incisivo, di "Crap that Gets in the Way of Your Dreams", mentre canta "Ora ho 65 anni e sì, sono ancora vivo. Ma non vedo mia moglie da un po'. Potrebbe essere morta di sopra... dovrei seppellire mia moglie o scrivere un'altra canzone?". Genio assoluto.
Da
segnalare anche il rock sporco e dall’urgenza punk di "What Happened To
You", che rispolvera un antico, e grintosissimo riff di Glen Buxton,
pescato negli archivi, e la power ballad finale intitolata "See You on
the Other Side", che rende omaggio al compianto chitarrista con virile
commozione.
Con tutti i limiti sopra esposti, The Revenge è un disco che si fa ascoltare volentieri, sempre che si abbia la consapevolezza che si tratta di un episodio estemporaneo (e forse finale) e che la caratura artistica è subordinata al piacere di ritrovare vecchi amici, con cui è bello rivangare i ricordi di una stagione irripetibile e selvaggia. Ricordi a volte sgranati, altre vividissimi, ma sempre raccontati con quel tocco di ironia di chi ha già scritto la storia, ma non ne sente assolutamente il peso.
Voto: 6,5
Genere: Rock
Blackswan, lunedì 08/09/2025
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