Sarà anche una banalità, ma talvolta si ha la prova provata che il rock’n’roll fa bene alla salute, e mantiene giovani nonostante il tempo che passa inesorabilmente. E’ il caso dei losangelini Buckcherry, che festeggiano i trent’anni di carriera, ma suonano ancora come dei ventenni divorati dal sacro fuoco della musica.
Formatisi in California nel 1995, nel corso degli anni, la band ha superato rotture, cambi di formazione e le sabbie mobili del lockdown e della pandemia. Josh Todd, cazzutissimo frontman, nonostante abbia acquisito di recente lo status di grandfather, è ora l'unico membro originale, affiancato da Stevie Dacanay (chitarra), Billy Rowe (chitarra), Kelly LeMieux (basso) e Francis Ruiz (batteria).
L'undicesimo album della band, Roar Like Thunder,
esplode di energia pura e di una spavalderia che ha pochi eguali, è un
disco che si rifiuta di invecchiare, mostrando i muscoli, alzando il
volume, e incarnando lo spirito selvaggio del quintetto, gagliardo e
traboccante d’entusiasmo come se si fosse appena affacciato sulla scena.
I Buckcherry hanno registrato l'album ai Sienna Recording Studios di Nashville, collaborando nuovamente con il produttore di vecchia data, Marti Frederiksen (Aerosmith, Mötley Crüe e Ozzy Osbourne) e con il tecnico del suono Anthony Focx, noto per il suo lavoro con Metallica e Aerosmith. Il risultato è un disco moderno e incisivo, ma saldamente radicato nella tradizione hard rock, che sfrutta i punti di forza della band: riff audaci e vertiginosi, ritornelli di facile presa e, soprattutto, la voce di Josh Todd, sempre potente e grintosa, nonostante i cinquantacinque anni indicati dall’anagrafe.
La title track, "Roar Like Thunder", chiarisce subito che da queste parti non si fanno prigionieri, scatta travolgente con un ritmo da treno in corsa e piazza un ritornello che ti rimane in testa per giorni. Mettete le cinture e tenetevi forte, perché l’alta velocità rischierà di farvi capottare. "When The Sun Goes Down" è pura adrenalina punk rock, è arrabbiata e sporca, quel che basta per lasciarvi l’unto sotto le unghie, mentre "Come On" richiama i classici AC/DC con il suo groove martellante e le chitarre che friggono di spavalda elettricità.
Ci sono momenti in cui la band si attiene un po' troppo alla stessa formula e se sperate qualche cambio di rotta, qui non la troverete. Alcuni testi sfiorano i cliché (beh, che vi aspettate, che Josh Todd smetta di parlare di donne e alcol?), e un paio di brani sembrano già ascoltati decine di volte, ma, ciononostante, l'energia e la convinzione tengono alto il livello. Insomma, i Buckcherry fanno sempre lo stesso disco, ma lo sanno fare benissimo.
Poi, ogni tanto aggiungono qualche nuova spezia, e allora ben vengano canzoni come "Blackout", evidente omaggio ai Rage Against The Machine, o "I Got Bloom", che gira dalle parti degli Aerosmith più incazzati e tira bordate alzo zero grazie a un arrangiamento di ottoni sputa fuoco.
Nel
lotto c’è anche "Hello Goodbye", un midtempo telefonatissimo ma
egualmente centrato nel ritornello e la conclusiva "Let It Burn"
tiratissimo shock rock, che entra in derapata nei padiglioni auricolari
facendoli sanguinare.
Stilisticamente, Roar Like Thunder è puro Buckcherry sound: riff incalzanti, ritmi adrenalinici e un mood orgogliosamente ancorato allo sleaze e alla spavalderia dell'hard rock classico. La band, inoltre, porta con sé, esibendole come una medaglia, le sue influenze, dagli AC/DC agli Aerosmith, ma possiede la consapevolezza e la grinta per farle proprie.
Insomma, Josh Todd non cerca di inseguire le mode, e non ha mai smesso di essere coerente al proprio credo, che è quello di offrire un rock’n’roll diretto, sudatissimo e fiero delle proprie origini. Quindi, se avete voglia di zompare come grilli tra il salotto e il soggiorno, alzate il volume dello stereo e scatenatevi al suono di Roar Like Thunder. Con buona pace dei vicini e, se siete anzianetti come il sottoscritto, anche della cervicale.
Voto: 8
Genere: Hard Rock
Blackswan, giovedì 03/07/2025