lunedì 18 marzo 2024

Ros Gos - No Place (Beautiful Losers, 2024)

 


Ros Gos, al secolo Maurizio Vaiani, è un poeta dell’anima, un musicista sensibile, colto e profondo, che non ha paura di viaggiare attraverso il suo immaginario sonoro, per scandagliare con coraggio le trame, spesso aggrovigliate, dell’esistenza umana, e osservare, con lucidità ed empatia, il destino del mondo che lo circonda in questi anni bui, in cui l’amore vive un impari battaglia contro l’odio, il dolore, la guerra, e una violenza sempre più ramificata. Da quattro anni, da quando cioè ha iniziato la sua carriera solista, Ros Gos ha raccontato lo smarrimento dell’umanità persa nei viluppi di un post folk desertico (Lost In The Desert) e ci ha guidato, malinconico Virgilio, nello sprofondo dell’inferno dantesco, vivida metafora di una società alla deriva, abisso etico di un mondo senza speranza (Circles).

Ha viaggiato, Ros Gos, con i suoi occhi bene aperti, lo sguardo appassionato e indagatore, appena velato di lacrime, il cuore in tumulto, affabulatore e crooner di spazi aperti e claustrofobici anfratti. Ed è arrivato qui, in un luogo che non esiste, dove l’umanità vive sospesa, tra luci e ombre, tra nichilismo e dolore, tra speranze spesso frustrate e una straziante necessità di redenzione, di pace.

No Place è, dunque, un punto di arrivo, l’approdo di un cammino che vede Ros Gos evolversi senza, fortunatamente, cambiare troppo, sempre più consapevole dei propri mezzi, delle proprie intuizione melodiche, supportate, ancora una volta, dall’ottima produzione di Marco Torriani, il cui tocco sapiente, cesella mirabilmente ogni singola canzone, cercando l’equilibrio tra il buio che ghermisce l’anima e i barbagli di tiepido sole, che riscalda ed evoca serenità.

Il risultato è ancor più sorprendente che nei precedenti lavori: il mood malinconico che attraversa il disco, quelle brume meditabonde che da sempre caratterizzano la scrittura del musicista lombardo, non sono mai state così accessibili, pur senza imboccare la strada del compromesso, dell’esposizione semplicista, della scelta condiscendente. E così, No Place suona benissimo, emoziona senza artifici, conquista con la semplicità di melodie accattivanti, ma mai piacione, suscita palpiti senza mai ricorrere al ricatto della lacrima facile.

Ros Gos plasma e fa convivere, in un suono personalissimo, tutto il suo retroterra musicale, gli ascolti amati da una vita, gli eroi perdenti e maledetti degli anni’90, la new wave e il post punk con cui è cresciuta un’intera generazione, quella che era giovane e piena di speranza nei tanto vituperati anni ’80.

Ciò che ne deriva è un disco che, seppur coerente e coeso nei suoni, si sviluppa in modo vario e fascinoso, in un’altalena emotiva di dieci canzoni, tutte necessarie, tutte egualmente accattivanti. Un viaggio nel viaggio, a partire dall’incipit di "My Cure" (ritmica arcigna sottostante un tessuto malinconico di cupa new wave), che si sviluppa in un percorso di elettriche fluorescenze dream pop ("Doll"), nell’infuocato noise di "Unexpressed Love", tenebroso crocevia della morte fra Mark Lanegan e Iggy Pop, nelle extrasistole anfetaminiche a là Radiohead della title track, nella soavità vellutata "The Slide" (con quello splendido arpeggio che ricorda "Thirteen" dei Big Star) e nella chiosa fragile, sospesa ed emotivamente disarmante di "I Still Need You". Un finale che sa di accettazione e pacificazione, di ritrovata pace, di luce, nonostante tutto il male che ci circonda.

Voto: 8

Genere: Alternative, New Wave, Post Punk

 


 

 Blackswan, lunedì 18/03/2024

 

giovedì 14 marzo 2024

Dolores Hitchens - La Gatta Ha Visto Tutto (Sellerio, 2023)

 


Miss Rachel Murdock, un’anziana signora, è l’investigatrice dilettante, coadiuvata dal burbero tenente Mayhew. Una mattina di tranquilla routine, riceve una chiamata dalla nipote Lily. Questa le chiede di venirle in aiuto nella città dove abita, senza dire il perché. La zia parte subito. Porta con sé la gatta Samantha, felino accudito con particolare cura perché ha ereditato la fortuna della bizzarra zia Agatha. Senza apparente motivo. Lily viene improvvisamente uccisa, nella stessa stanza in cui anche Rachel, avvelenata e priva di coscienza, rischia di morire, sotto gli occhi della gatta. Nella scena insanguinata entra il tenente Mayhew, quanto di più lontano si possa immaginare dalla quieta raffinatezza di Rachel. La coppia così assortita non potrebbe mai raggiungere l’obiettivo senza decifrare i messaggi della gatta Samantha. «C’era qualcosa di strano... di strano e di diverso nella gatta».

 

La Gatta Ha Visto Tutto della texana Dolores Hitchens è un piccolo classico, il primo di una serie di gialli che hanno come protagonista un’improvvisata detective dilettante, l’anziana Rachel Murdock. L’azione si svolge in una pensione e una pletora di personaggi fanno a gara per candidarsi se non al ruolo di colpevole, quanto meno a quello di persona poco raccomandabile. L’atmosfera del romanzo rimanda immediatamente ai gialli firmati da Agatha Christie, nello specifico a Miss Marple, o alla serie tv La Signora In Giallo: anche Miss Rachel è quella che un tempo veniva definita “zitella”, è avanti con gli anni e si cimenta nell’investigazione per puro diletto.

Pioniera della cosidetta “domestic suspence”, la Hitchens crea una mise en place quasi teatrale, in cui l’azione è ridotta ai minimi termini e prende corpo solo nel concitato finale. Ciò non toglie nulla, però, a un romanzo che catalizza immediatamente l’attenzione del lettore: non mancano i colpi di scena, gli indizi per scoprire il colpevole sono disseminati con cura in tutte le trecentoquaranta pagine del romanzo, seppur mimetizzati con arguzia, e la gatta, testimone involontario dell’omicidio, è la geniale chiave di volta per risolvere il mistero, non proprio di facile soluzione.

La prosa, a dire il vero, è un po’ “age”, molto classica nel suo sviluppo, che rispecchia perfettamente il periodo in cui il giallo fu scritto (la pubblicazione avvenne nel 1938) e che si sposa coi tempi dilatati degli arguti ragionamenti dell’anziana protagonista, la quale, peraltro, è tutt’altro che inerme.

Tuttavia, il romanzo è estremamente innovativo per gli standard dell’epoca, grazie alle voci fuori campo di due personaggi che commentano i fatti ex post, all’atmosfera decisamente inquietante, e all’inaspettata violenza di alcuni passaggi, in cui non si lesina sul sangue, mettendo a nudo la cruda efferatezza di un omicida senza scrupoli.

Non solo: Miss Rachel ed il giovane tenente Mayhew (ufficialmente incaricato di condurre le indagini) sembrano, ad un certo punto, scambiarsi i ruoli, in un gioco delle parti per certi aspetti sorprendente, perché, come il lettore avrà modo di verificare in prima persona, sarà la diversamente giovane Rachel Murdock a impegnarsi in azioni pericolose e spericolate, lasciando all’ingombrante poliziotto il compito di affrontare gli eventi in modo più equilibrato e saggio. Ingegnosi escamotage letterari, questi, che rendono La Gatta Ha Visto Tutto una lettura affascinante, piacevolissima e intrigante, che non deluderà gli amanti del genere.

 

Blackswan, giovedì 14/03/2024

martedì 12 marzo 2024

Ironic - Alanis Morissette (Maverick/Reprise Records, 1995)

 


Se il significato di “ironia” è usare delle parole per trasmettere il contrario del loro significato letterale, creare cioè un’alterazione spesso paradossale della realtà, allora, forse, il testo di Ironic, decima traccia da Jagged Little Pill, terzo album della cantante canadese Alanis Morissette, non lo è. O meglio, lo è nelle intenzioni di chi l’ha scritta, ma molto meno dalla prospettiva di chi ascolta. Gli eventi descritti nella canzone (la pioggia il giorno del matrimonio, l’aereo che precipita, la grazia che arriva nel braccio della morte con due minuti di ritardo), infatti, sono eventi drammatici, ma non esempi di ironia.

Basta dare una fugace lettura al testo, per rendersene conto: ”Un vecchio ha compiuto novantotto anni, Ha vinto alla lotteria ed è morto il giorno successivo, È una mosca nera nel tuo Chardonnay, È la grazia del braccio della morte, due minuti troppo tardi, Non è ironico, non credi?” E ancora: “Ha aspettato tutta la vita prima di prendere quel volo, mentre l'aereo precipitava pensò "Beh, non è carino". E non è ironico, non credi?”

Non è, quindi, un caso che questa famosissima canzone abbia attirato sulla Morissette parecchie critiche, tanto che il London Times, in un’intervista del 2008, domandò alla songwriter canadese se finalmente fosse riuscita a comprendere il vero significato della parola “ironia”. E che la canzone non fosse percepita come ironica, ne è dimostrazione il fatto che, per quel riferimento all’incidente aereo, la stessa venne inserita, dopo l’11 settembre, nella lista delle canzoni inappropriate. Lo stesso Glen Ballard, coautore delle liriche, qualche anno dopo, ammise candidamente che, nonostante la sua laurea in letteratura inglese e la passione per T.S.Elliot, l’uso dell’ironia nel testo non era tecnicamente corretto. Tuttavia, la Morissette ha sempre sostenuto che il significato della canzone sta nella parte finale, in cui lei canta che “La vita ha un modo strano di coglierti di sorpresa, La vita ha un modo divertente di aiutarti”. In definitiva, dunque, esiste un’ironia di fondo: ciò che davvero è ironico è che le cose brutte ci aiutano ad arrivare dove stiamo andando. Come a dire: la vita ci prende in giro, ci fa brutti scherzi, ma alla fine, in qualche modo, ci forma il carattere e ci rende migliori.  

La Morissette scrisse Ironic insieme al citato Glen Ballard, che ha anche prodotto l'album Jagged Little Pill. I due si incontrarono nel marzo del 1994, quando lei si trasferì a Los Angeles dal Canada per cercare nuove strade espressive e rompere con il passato dance pop dei due album precedenti. Con Ballard, scrisse ben venti canzoni, dodici delle quali finirono per comporre la scaletta dell’album.

Il brano fu scritto il 26 maggio 1994, all'inizio della loro collaborazione, dopo un pranzo nella trattoria italiana da Emilio, dove avevano mangiato insalata e bevuto tè ghiacciato. Durante la conversazione, la Morissette se ne uscì con la frase:” 'Non sarebbe ironico per un vecchio vincere la lotteria e morire il giorno dopo?". Dieci minuti dopo erano in studio a scrivere e a dare inizio alla magia di un disco che fece incetta di premi e guadagnò la prima piazza delle classifiche di mezzo mondo, arrivando seconda anche nelle chart italiane.

In un’intervista alla rivista Q nel 1999, Morissette ricordò la sessione di scrittura della canzone: "È stato piuttosto divertente, perché quando Glen e io eravamo in studio a scriverla, stavamo solo cercando di farci ridere a vicenda. Non pensavamo nemmeno all'ironia in quel momento. E questa è probabilmente la cosa più ironica della canzone."

 


 

 

Blackswan, martedì 12/03/2024

lunedì 11 marzo 2024

Caligula's Horse - Charcoal Grace (Sony/Insideout, 2024)

 


Australiani, nati a Brisbane nel 2011, i Caligula’s Horse (nome bellissimo, ispirato a Incitatus, il cavallo che Caligola voleva nominare console) si sono ritagliati, disco dopo disco, una piccola nicchia di consensi nel mondo prog metal.

Pubblicato a maggio 2020, il quinto disco della band, Rise Radiant, li vedeva in forte ascesa, grazie anche a sempre maggiori consensi della critica specializzata e a vendite che iniziavano a diventare importanti. A causa della pandemia e del successivo lockdown, però, il quartetto non ha potuto capitalizzare il duro lavoro fatto: niente tour in giro per il mondo, e una promozione passata, quindi, in secondo piano, a causa dei noti avvenimenti.

D’altra parte, il 2020 è stato un anno strano, l’esplosione del covid ha creato un vero e proprio senso di incertezza per tutti i musicisti, soprattutto quelli meno affermati, che si sono trovati a fare i conti con un totale sovvertimento di quelli che erano schemi ben collaudati. Il chitarrista della band, Adam Goleby, poi, ha lasciato il progetto nel luglio del 2021, mettendo a serio rischio l’esistenza stessa dei Caligula’s Horse.

Invece, a dispetto di tutto, i prog metaller australiani hanno usato questo momento di profonda incertezza come carburante creativo per il nuovo Charcoal Grace, un album che fa i conti, definitivamente, con le esperienze vissute in quei giorni tragici, quasi una sorta di catarsi per poter guardare al futuro con speranza e rinnovata consapevolezza.

In scaletta, sei canzoni, per più di un’ora di ascolto, tra chitarre ribassate e approccio sinfonico, che permettono subito un accostamento della band australiana con maestri del genere, quali Haken o Leprous. La prima, immediata impressione, poi, è che Charcoal Grace sia un disco per cui un ascolto superficiale è del tutto impossibile, anche perché, come spesso accade per gli album di prog, la vera esperienza consiste nell’ascoltare l’opera nella sua interezza. Non ci sono, infatti, hook memorabili che fanno emergere un brano sugli altri (forse, la sola "Sails" resta impressa subito, grazie alla melodia evocativa), ma se ci si abbandona, senza interruzioni, al flusso creativo della band, è possibile cogliere tutta l’emotività che attraversa la scaletta, e sperimentare l'angoscia, il vuoto, il dolore e poi la speranza e quei barlumi di gioia che i Caligula’s Horse cercano di esplorare e trasmettere.

Non è un caso che il corpus centrale dell’opera sia la title track, una suite di ventiquattro minuti, divisa in quattro parti, con cui la band affronta il tema delicato del rapporto di un bambino coi genitori separati. Un viaggio nella psiche tormentata dell’infanzia, che non può essere sezionato, ma solo assimilato nella sua complessa e complessiva durata, attraverso il fil rouge di un saliscendi emotivo, in un alternarsi di luce e oscurità, di momenti leggeri e delicati che trovano il contrappunto nelle sferzate di riff taglienti.

Un brano che è la chiave di lettura di un disco la cui anima prog, quella capacità, cioè, di cambiare registro in modo da rendere articolata la narrazione, è del tutto evidente nell’ora abbondante di ascolto, che regala altri momenti decisamente riusciti, come i due singoli, "The World Breathes With Me" e "Golem". 

Alla resa dei conti, tuttavia, qualche appunto occorre farlo. Di sicuro Charcoal Grace è un disco più vicino alla sensibilità di chi ama il rock progressive rispetto a chi, invece, è aduso a suoni più pesanti. Le grandi qualità tecniche del quartetto sono clamorosamente in luce, forse fin troppo, con la conseguenza che, in alcune sue parti, il disco suona come un mero sfoggio di abilità, che toglie respiro emotivo alle composizioni. Un approccio meno sofisticato e più lineare, e degli arrangiamenti più asciutti, avrebbero reso un miglior servizio a buone idee compositive e a un pathos che, solo a sprazzi, suona realmente autentico. Non una bocciatura, e ci mancherebbe, ma la sensazione che un surplus di spontaneità avrebbe fatto guadagnare punti a un album che non sempre trova il giusto slancio per toccare il cuore dell’ascoltatore.

VOTO: 7

GENERE:  Progressive Metal




Blackswan, lunedì 11/03/2024

giovedì 7 marzo 2024

Kula Shaker - Natural Magik (Strange F.O.L.K. LLP, 2024)

 


Composti dal frontman Crispian Mills, dal bassista Alonza Bevan, dal batterista Paul Winterheart e dal tastierista Jay Darlington, i Kula Shaker hanno plasmato un suono unico nell'era post-Britpop alla fine degli anni '90, con alcuni splendidi dischi (e dall’ottimo riscontro commerciale) ispirati alla musica indiana e allo spiritualismo. La loro è stata una carriera altalenante, segnata da scioglimenti e reunion, l’ultima delle quali ha già prodotto un ottimo lavoro intitolato 1st Congregational Church of Eternal Love (And Free Hugs) uscito nel 2022.

Questo Natural Magick è, dunque, il secondo disco della band dopo un lungo iato e, rispetto al suo predecessore, pur mantenendo intatte le caratteristiche di un suono collaudatissimo, risulta essere più immediato e virato decisamente alla ricerca della melodia. Un canovaccio, quello su cui si basa la musica dei Kula Shaker, che pesca a mani basse nella psichedelia anni ’60, citando illustri nomi di quegli anni d’oro, e che si colora, qui e là, di spruzzate di folk indiano, che è da sempre l’elemento distintivo della loro proposta.

Il brano di apertura "Gaslighting" risucchia immediatamente l’ascoltatore nel mondo KS: ritmiche serrate, handclapping, spolverate d’organo e quel riff pazzesco che riporta a "All Day And All Of The Night" dei Kinks. "Waves" incastona una melodia brit pop tra sitar e chitarre distorte, è il brano più orecchiabile e spensierato dell’album grazie a un ritornello appiccicoso, che si manda a memoria fin da primo ascolto.

Un uno-due dal tiro pazzesco, che si fa ancora più vibrante nella traiettoria funky della title track, chitarrina ipnotica, coretti sbarazzini e linea di basso trascinante, per un brano che spinge l’ascoltatore verso uno scatenato dancefloor. I due minuti e mezzo di "Indian Record Player" si tuffano a testa bassa nella psichedelia anni ’60, citando Kinks e Yardbirds, e sfoggiando inusuali e sfavillanti arrangiamenti, mentre "Chura Liya (You Stole My Heart)" crea uno straniante crossover fra musica indiana e mariachi dai risultati sorprendenti.

Il livello d’ispirazione resta sempre altissimo, anche quando la band si diverte a citare smaccatamente i Beatles in "Something Dangerous", a tirar fuori dal cilindro un ballatone soul per cuori infranti ("Stay With Me Baby"), a immergersi nel misticismo indiano di "Happy Birthday", o a spendersi in messaggi politici tranchant nell’acidissima "Idontwannapaymytaxes" ("Non voglio pagare le mie tasse/Non voglio pagare per la terza guerra mondiale/Non voglio pagare le mie tasse") e nel funkettone di "F-Bombs", in cui Mills canta in modo da non lasciar spazio a fraintendimenti: "Fanculo la guerra, fanculo le tasse, fanculo gli uomini del governo". 

Se la malinconica "Whistle And I Will Come" è immersa fino al collo nel brit pop anni ’90, "Kalifornia Blues" mette la retromarcia fino a sixties, grazie a un ritornello che evoca i Fab Four, e la conclusiva "Give Me Tomorrow" sigilla il disco pescando una splendida melodia anni ’50, per un lentone da ballare guancia a guancia con l’amata.

Natural Magik è un grande disco, e, a livello di ispirazione e songwriting, può essere tranquillamente accostato ai migliori lavori dei Kula Shaker, quali K (1996) e Peasants, Pigs & Astronauts (1999). Una traversata di tredici canzoni lungo un sentiero hippie e pischedelico ben delineato, che guarda al passato con uno sguardo divertito, che sa emozionare con melodie uncinanti, e che resta ben piantato anche nel presente, prendendo posizioni politiche chiare e non più defettibili. Peace And Love, fate l’amore e non fate la guerra: concetti antichi, che, oggi, purtroppo, si vestono di una nuova e drammatica urgenza.

Uno dei dischi migliori usciti in questo primo scorcio di 2024.

VOTO: 8,5

GENERE: Psichedelia, pop, rock

 


 


Blackswan, giovedì 07/03/2024