Ho fatto fatica a cogliere l’essenza di questo disco,perchè anche dopo svariati ascolti,forse un po’ troppo distratti, ancora mi pareva oscuro,verboso, a tratti addirittura ridondante.Poi,ho capito che forse occorreva contestualizzarlo,che occorresse cioè predisporre l’anima alla musica in uno scenario corretto,che non fossero le pareti di casa o il vagone della metropolitana.Ho preso la bici e me ne sono andato in giro tra boschi e campagne.E finalmente queste canzoni sono diventate mie,in qualche modo mi hanno posseduto,lasciandosi assaporare e comprendere.Josh T.Pearson non è solo l’ultimo gentiluomo di campagna,come recita il titolo del disco,ma è anche,e soprattutto, il nuovo Tim Buckley.Chi ha amato il cantautore americano,padre del grande Jeff,sa esattamente cosa intendo e quanto sia impegnativa un’affermazione di questo genere.Non amo molto i toni enfatici,ma nello specifico penso di non aver esagerato e sono sicuro che prima o poi la storia mi darà ragione.Come Buckley,anche Pearson usa la voce come strumento,lo strumento solista per la precisione,alveo in cui scorrono i brividi di emozioni fragili eppure così dannatamente invasive.Una voce quella di Pearson che alterna vette di lirismo celestiale a passaggi apparentemente dimessi,quasi colloquiali,eppure mai privi di una disarmante e appassionata sincerità.La chitarra acustica e il vibrante violino di Warren Ellis,comprimario discreto ma essenziale,sono la struttura portante di sette canzoni che dispiegano armonie in libertà,prescindendo da convenzionali vincoli temporali. Canzoni che sfuggono a una precisa codificazione,che si muovono liquide e imprendibili,senza concedere un riferimento che non sia quello del continuo divenire,di una sorta di panta rei in note che trascina l’ascoltatore verso la svolta inattesa o un orizzonte che non poteva essere previsto, invece che reiterare un riuscito sviluppo melodico.La musica di Pearson impone una totale apertura emozionale. Opporvi resistenza,cercare di anteporre l’intelletto all’ascolto di pancia significa perdere l’occasione di regalare alla propria dicografia un gioiello inestimabile. Fra dieci anni o giù di lì sapremo con esattezza se “Last of the country gentlemen “sia un capolavoro o meno.I posteri godono il privilegio di sentenziare avvantaggiandosi del favore della storia.A noi rimane la sensazione di un disco imperdibile,decisivo,di rara ed estatica bellezza.
VOTO : 9
Blackswan, sabato 21/05/2011
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