mercoledì 8 giugno 2016

SPAIN – CAROLINA



La carriera degli Spain sembrava un lungo fiume tranquillo, composto di album pubblicati solo se dettati da vera ispirazione (fra I Believe del 2001 e The Soul Of Spain del 2012 passarono addirittura undici anni) e da uno immutabile slowcore pregno di sacralità e malinconia e venato di raffinati arrangiamenti jazzy. Poi, qualcosa è cambiato, le uscite discografiche si sono fatte più ravvicinate nel tempo, e l’ultimo album, Sargent Place (2014), segnava anche uno scarto, per quanto modesto, rispetto ai precedenti lavori, verso una normalizzazione del songwriting di Josh Haden, divenuto meno elusivo e più accostabile alle convenzioni della canzone folk rock. A luglio di due anni fa, poi, è morto il papà di Josh, il grande contrabbassista jazz, Charlie, episodio, questo, che ha finito per incidere inevitabilmente sulla composizione del nuovo Carolina. Josh, infatti, si è messo alla ricerca del proprio passato e delle proprie radici, come se queste dieci canzoni fossero, non solo una carrellata di ricordi rubati all’infanzia e alla giovinezza, ma anche una vera e propria riscoperta delle tradizioni musicali di famiglia che, fin dagli anni ’30 e ‘40,  furono influenzati dal country e dal bluegrass. Carolina suona, infatti, diverso da qualsiasi cosa abbiano precedentemente pubblicato gli Spain: un nuovo chitarrista, Kenny Lyon, già produttore e ingegnere del suono, il cui tocco incide non poco sul suono, una veste quasi cantautorale delle canzoni, il continuo richiamo alle radici americane, anche sotto il profilo degli strumenti (slide, violino, banjo), sono le principali novità del nuovo corso. Ciò che resta immutato è il mood malinconico, in alcuni casi perfino dolente, dal quale sono pervase le canzoni che compongono l’album, molte delle quali, implicitamente o esplicitamente, dedicate al padre di Josh. Se almeno all’apparenza, la maggior semplicità degli arrangiamenti, rende l’opera più fruibile al grande pubblico, il disco continua però a imboccare i consueti binari della nostalgia e dello struggimento, regalandoci, peraltro, alcune delle canzoni più incisive composte da Haden negli ultimi anni (è evidente il lavoro di cesello sui cento brani portati inizialmente in studio). A cominciare da For You, il cui testo induce inevitabilmente a pensare a un omaggio al padre scomparso, e in cui Josh veste con uno straniante blues per chitarra in acido una delle più belle e sofferte melodie del disco. Non sono da meno Battle Of Saratoga, storia di neve, droga e allucinazioni, Tennesse, con la splendida slide di Lyon a tessere le trame della melodia o lo slowcore programmatico di The Depression, nemmeno a farlo apposta la più bella del lotto. Nonostante il linguaggio di Haden si sia modificato nel corso del tempo, e per certi versi, come si diceva, quasi normalizzato, questa nuova versione “americana” degli Spain non deluderà i vecchi fans della band. I quali, non solo si troveranno ad ascoltare il miglior disco di Haden dai tempi di I Believe, ma avranno in regalo, nuovamente, un’abbondante dose di languori malinconici.

VOTO: 7,5





Blackswan, mercoledì 08/06/2016

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