La carriera
degli Spain sembrava un lungo fiume tranquillo, composto di album pubblicati
solo se dettati da vera ispirazione (fra I Believe del 2001 e The Soul Of Spain
del 2012 passarono addirittura undici anni) e da uno immutabile slowcore pregno
di sacralità e malinconia e venato di raffinati arrangiamenti jazzy. Poi,
qualcosa è cambiato, le uscite discografiche si sono fatte più ravvicinate nel
tempo, e l’ultimo album, Sargent Place (2014), segnava anche uno scarto, per
quanto modesto, rispetto ai precedenti lavori, verso una normalizzazione del
songwriting di Josh Haden, divenuto meno elusivo e più accostabile alle
convenzioni della canzone folk rock. A luglio di due anni fa, poi, è morto il
papà di Josh, il grande contrabbassista jazz, Charlie, episodio, questo, che ha
finito per incidere inevitabilmente sulla composizione del nuovo
Carolina. Josh, infatti, si è messo alla ricerca del proprio passato e delle proprie
radici, come se queste dieci canzoni fossero, non solo una carrellata di ricordi
rubati all’infanzia e alla giovinezza, ma anche una vera e propria riscoperta
delle tradizioni musicali di famiglia che, fin dagli anni ’30 e ‘40, furono influenzati dal country e dal
bluegrass. Carolina suona, infatti, diverso da qualsiasi cosa abbiano
precedentemente pubblicato gli Spain: un nuovo chitarrista, Kenny Lyon, già
produttore e ingegnere del suono, il cui tocco incide non poco sul suono, una
veste quasi cantautorale delle canzoni, il continuo richiamo alle radici
americane, anche sotto il profilo degli strumenti (slide, violino, banjo), sono
le principali novità del nuovo corso. Ciò che resta immutato è il mood
malinconico, in alcuni casi perfino dolente, dal quale sono pervase le canzoni
che compongono l’album, molte delle quali, implicitamente o esplicitamente,
dedicate al padre di Josh. Se almeno all’apparenza, la maggior semplicità degli
arrangiamenti, rende l’opera più fruibile al grande pubblico, il disco continua
però a imboccare i consueti binari della nostalgia e dello struggimento,
regalandoci, peraltro, alcune delle canzoni più incisive composte da Haden
negli ultimi anni (è evidente il lavoro di cesello sui cento brani
portati inizialmente in studio). A cominciare da For You, il cui testo induce
inevitabilmente a pensare a un omaggio al padre scomparso, e in cui Josh veste
con uno straniante blues per chitarra in acido una delle più belle e sofferte
melodie del disco. Non sono da meno Battle Of Saratoga, storia di neve, droga e
allucinazioni, Tennesse, con la splendida slide di Lyon a tessere le trame
della melodia o lo slowcore programmatico di The Depression, nemmeno a farlo
apposta la più bella del lotto. Nonostante il linguaggio di Haden si sia
modificato nel corso del tempo, e per certi versi, come si diceva, quasi
normalizzato, questa nuova versione “americana” degli Spain non deluderà i
vecchi fans della band. I quali, non solo si troveranno ad ascoltare il miglior
disco di Haden dai tempi di I Believe, ma avranno in regalo, nuovamente, un’abbondante
dose di languori malinconici.
VOTO: 7,5
Blackswan, mercoledì 08/06/2016
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