Formatisi a Tel Aviv, Israele, nel 2015, dopo aver trascorso i due anni precedenti con il nome di Somnia, gli Scardust hanno pubblicato un EP, due album (Sands Of Time del 2017 e Strangers del 2020) e si sono lentamente guadagnati una fetta di notorietà, prima aprendo i concerti di Blind Guardian, Symphony X, Epica e Therion, poi girando in tour per l’Europa come headliner, riuscendo così ad aumentare la propria fan base, ma facendosi anche apprezzare dalla critica, grazie a uno straordinario mix di progressive e metal sinfonico.
Il terzo album in studio, Souls,
non solo conferma quanto di buono di era già ascoltato nei precedenti,
ma si pone anche come il miglior episodio della loro breve, ma
intrigante discografia. Nelle dieci canzoni in scaletta trovano posto
tutti gli elementi che ci si aspetta da un album di genere: tecnica
mostruosa, cambi tempo, svolte inaspettate, grandi melodie e,
ovviamente, anche la potenza del metal, senza che, almeno per gran parte
del materiale, ci si perda in inutili quanto ridondanti orpelli. Il
suono è dinamico, i ritornelli sono a presa rapida, e i brani mantengono
un minutaggio relativamente basso, in modo da mantenere viva
l’attenzione dell’ascoltatore.
Il livello di abilità musicale della line up, poi, è ipnotizzante. Ogni membro della band è un maestro nel suo strumento e si percepisce che tutti suonano con il cuore e con un'attenzione certosina ai dettagli dei singoli brani. I delicati svolazzi, il brio e la precisione, la potenza e l'emozione: tutto questo si coglie in ogni singola nota che sgorga da ogni canzone dell'album.
Noa Gruman, poi, con questa performance, entra di diritto nel novero ristretto delle migliori voci metal in circolazione. La sua capacità di catturare l’ascoltatore è qualcosa di raro, per non parlare della sua abilità tecnica che è di livello stellare. La Gruman riesce letteralmente a fare tutto, la sua voce si libra magnificamente, ma è la sua capacità di passare da uno stile all'altro a essere davvero impressionante. Un minuto prima sta cantando note che sembrano quasi impossibili da raggiungere, poi è un sussurro delicato, quindi, un groove soul, passaggi pop orecchiabili, alcune melodie contagiose in stile sinfonico, growl aspri e, per non farsi mancare proprio nulla, si cimenta anche nell’arte complessa dello scat (lo scat che esegue in "Part II - Dance Of Creation" è meraviglioso, il controllo vocale è eccezionale e non si può che rimanerne completamente affascinati.).
E’
tutta la band, però, a girare a mille: il battersita Yoav Weinberg, il
chitarrista Gal Gabriel Israel, il tastierista Aaron Friedland e,
soprattutto, il bassista Orr Didi, un virtuoso d’altri tempi, che spesso
ruba la scena con una personalità impressionante (ascoltate l’assolo in
"My Haven"). Souls è, dunque, un album incredibilmente tecnico, ma anche estremamente accessibile.
A partire dall’iniziale "Long Forgotten Song" è soprattutto la melodia a farla da padrone, sia quando la band si cimenta nella ballata emozionante come avviene in "Dazzling Darkness", sia quando spinge su un groove da headbagging come in "RIP", o si gioca la carta del ritornello irresistibile da cantare a squarciagola in "My Haven".
La trilogia "The Touch Of Life" chiude l'album con l’ospitata di Ross Jennings (Haken), presente in "Part I - In Your Eyes" e "Part III - King Of Insanity", e la sua voce aggiunge un'altra dimensione appagante alle canzoni, integrandosi e fondendosi perfettamente con quella della Gruman. Questo finale, tuttavia, è meno riuscito della prima parte dell’album e suona in certi momenti più enfatico e lezioso.
Niente di grave: Souls nel complesso resta un disco fascinoso e accattivante, che seduce a più ascolti, confermando che gli Scardust sono al momento una delle realtà più interessanti nel panorama progressive e symphonic metal.
Voto: 8
Genere: Prog Metal, Symphonic Metal
Blackswan, lunedì 24/11/2025

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