lunedì 21 novembre 2016

IL MEGLIO DEL PEGGIO


 

 
Riceviamo dalla nostra freelance Cleopatra e integralmente pubblichiamo 

Pare che l'onestà intellettuale e la genuinità di un individuo, sia che si tratti di un uomo politico o meno, debba necessariamente essere misurata attraverso l'uso della violenza verbale. Si chiamino Vincenzo De Luca o Donald Trump, poco importa: più si aggredisce l'avversario, tanto più si è considerati diretti e credibili. Il ricorso al dileggio e all'offesa personale non è più un fenomeno ma l'espressione di una strategia comunicativa sempre più ricorrente e sistematica. E così le parole dell'ex sindaco - sceriffo di Salerno, altro non sono se non la conferma - l'ennesima - di quanto poco conti il pensiero dell'avversario. 

Offendere il competitor sul piano personale è l'arma più deflagrante ed efficace per stabilire il proprio carattere distintivo di autenticità.

E' pur vero che nella "galleria degli orrori" a cui stiamo assistendo da un ventennio a questa parte, De Luca non è il solo a distinguersi per inciviltà verbale. Già il Senatùr Umberto Bossi, per chi l'avesse dimenticato, fece della visceralità lessicale il tratto caratteristico del partito di appartenenza. La metafora fallica assurse a simbolo di tenacia, potenza e veracità. 

Il linguaggio divenne per Bossi un grimaldello per scardinare il politichese, reo di ambiguità e ipocrisia. Missione compiuta, visti i risultati. E che dire della rivoluzione "bon ton" di Silvietto, che sdoganò barzellette triviali e corna, come quelle orgogliosamente esibite durante un consesso con i potenti della terra? E i Vaffa Day di Beppe Grillo che hanno certificato definitivamente l'uso del turpiloquio in politica?

Certo, i tempi cambiano, ma è anche vero che il cattivo gusto e il bullismo verbale sono ormai globalizzati. Da destra a sinistra, ammesso che una sinistra esista ancora.

Forse sarò all'antica, ma la buona educazione e il rispetto mi mancano. E non solo in politica.
 

Cleopatra, lunedì 21/11/2016

  

 

 

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