sabato 10 giugno 2017

CHRIS STAPLETON – FROM A ROOM: VOL.1 (Mercury Nashville, 2017)



Metabolizzata l’abboffata di riconoscimenti (prima piazza di Billboard 200, quattro CMA Awards nel 2015, due Grammy Awards nel 2016) e di elogi (nella top ten di tutte le riviste che si occupano di Americana) che avevano accompagnato l’uscita di Traveller, album d’esordio di due anni fa, Chris Stapleton ha continuato a lavorare alla propria musica con la stessa passione di sempre, come se tutto quel clamore non lo riguardasse minimamente. D’altra parte, questo straordinario autore ha vissuto la propria carriera sempre dietro le quinte, sfornando canzoni e hit per colleghi più affermati. Un understatement, o basso profilo, vedete voi, che ha permesso al songwriter originario di Lexington di non scendere a compromessi con il successo e di mantenere la barra di una scrittura che fa della qualità il suo punto di forza. Affiancato ancora dal suo mentore, Dave Cobb, acclamato guru e Re Mida della scena country rock statunitense, Stapleton è tornato in studio con parecchio materiale, in parte confluito in From A Room: Vol.1, e in parte destinato a comporre la scaletta di un seguito che, a detta dello stesso musicista, dovrebbe uscire verso la fine del 2017. Solo nove canzoni per una durata complessiva di poco più di mezz’ora ribadiscono le intuizioni che avevamo amato in Traveller: un suono asciutto e profondo, che guarda agli anni’70 e si ispira al movimento outlaw country, che conosce la geografia del Mississippi, che aromatizza i brani con un retrogusto di bourbon, che possiede una genetica profondamente soul. Stapleton non sbaglia una canzone, e se anche è ormai venuto meno l’affetto sorpresa che aveva fatto gridare al miracolo due anni fa, l’irsuto chitarrista conferma che quel patrimonio di emozioni, quel suono coeso, quello sguardo romantico e appassionato sulla terra d’America non sono venuti meno. Il country rock in purezza dell’opener Broken Halos rappresenta quasi un pamphlet dello Stapleton pensiero: una ballad elettro-acustica che in mani altrui suonerebbe risaputa, diventa un gioiello di essenzialità stilistica, con la voce carica di soul di Chris, artiglio che arpiona l’anima, e lo spirito indomito di una corsa in auto verso l’orizzonte, i capelli al vento e il cuore gonfio di attese. Semplicemente splendida. Ed è solo l’inizio, perché in scaletta ci sono solo grandi canzoni, a partire dalla successiva Last Thing I Needed, First Thing This Morning, con l’armonica di Mickey Raphael a tracciare la strada di un country soul che evoca emozioni antiche. Le stesse che emergono durante l’ascolto di Up To No Good Livin’, figlia di un’osmosi sonora che rinsalda la linea temporale e cromosomica fra Chris Stapleton e Waylon Jennings. Se con Second One To Know, discendente in linea diretta di Sweet Home Alabama dei Lynyrd Skynyrd, Stapleton sfodera quel ringhio rock tenuto spesso nelle retrovie, con I Was Wrong, ballata assassina che manda ko fin dal primo ascolto, il nostro sfodera quell’intensità interpretativa soul che è il segno distintivo della sua musica. Una musica umorale, che rilegge la tradizione mettendo però l’accento sul pathos, e che sa trovare la grazia di melodie ad alto tasso di romanticismo (Without Your Love e quel giro di chitarra rubato a Paranoid Android dei Radiohead) o il passo lento e bluesato della conclusiva Death Row, down tempo cupo, notturno, polveroso. Se è vero quel detto per cui il secondo disco è il più difficile nella carriera di un artista, Stapleton ha vinto la sfida a pieni voti, eguagliando per bellezza il suo fortunato esordio. Se prima avevamo il sospetto di essere di fronte a uno dei più grandi interpreti del movimento country rock, ora ne abbiamo la certezza.

VOTO: 8






Blackswan, sabato 10/06/2017

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