C’è un momento,poco prima di scendere in campo per l’inizio della partita, che appartiene solo all’allenatore.Hai già dato la formazione,spiegato moduli e schemi,distribuito le maglie,fatto tutte le raccomandazioni del caso.Dopo che la squadra si è scaldata e che l’arbitro ha declinato la chiama,lo spogliatoio, all'improvviso,si quieta,il vociare scema in sommesso brusio e il tempo viene scandito solo dal battito dei cuori e dal respiro dei giocatori che si fa sempre più rapido.Manca poco all’inizio.Uno o due minuti,non di più.Un lasso di tempo breve come una sfuriata hardcore-punk,oppure lunghissimo se non hai le parole per riempire quel silenzio.Sono gli attimi della motivazione,pochi momenti in cui spesso si fa la differenza fra vincere una partita o perderla.Devi parlare alla squadra e trovare le parole giuste che tirino fuori il meglio da tutti.E’ un esercizio oratorio difficilissimo,che dipende in parte dalla tua credibilità e molto dalla tua passione, e che si svilluppa su un breve ma impervio percorso a filo di precipizio,dove retorica,epica e psicologia procedono a braccetto,col rischio che una di queste,perdendo l’equilibrio,trascini le altre nell’abisso.E’ per una sorta di immedesimazione,quindi,che a pagina 146 de “La partita “, ultimo libro di Stefano Ferrio, il cuore mi è balzato in gola.Poco prima di scendere in campo,l’allenatore nonché capitano dell’Inghilterra, Beppe Russo,pronuncia brevi ma sentite parole per caricare la squadra : “ E’ esattamente questo il senso della sfida che siamo chiamati a giocarci…se lo faremo dedicando ogni stilla del nostro sudore non a mille noti campioni ma a un gioco reso immortale da milioni di giocatori sconosciuti,vinceremo.Nel nome di infiniti e oscuri portieri che pregano,terzini che picchiano,mediani che sanguinano,laterali che inciampano,centrocampisti che annaspano e attaccanti che non sanno mai come diavolo girarsi verso quella stramaledetta porta.I nostri compagni,in campo e nella vita.Quelli a cui si deve la misteriosa,stupenda e democratica bellezza del Calcio “.Questo è solo un breve passaggio di un libro straordinario e perfetto,semplice nella struttura narrativa e nel linguaggio,eppure così determinante per rielaborare e ripensare a tutto quel groviglio di ardore,felicità,amarezza,epica,sudore,sangue,poesia,fierezza,dignità,rabbia che il calcio alimenta in ogni sportivo a qualunque età.Anni ’70,nel cuore del profondo Veneto,due squadre amatoriali rivaleggiano in tornei canicolari e campetti di provincia,divisi non solo da una diversa concezione del calcio,ma soprattutto da opposte idee politiche.L’inghilterra,che gioca un calcio solido e scontroso,è composta dai figli della classe operaria,comunisti per indole o vocazione,mentre il Bar Fantasia,che si ispira al gioco spumeggiante della nazionale brasiliana, è la squadra dei figli di papà,giovani rampanti con un futuro già scritto da dirigenti.Durante l’unica partita in cui l’Inghilterra sembra poter avere la meglio sugli avversari,il pallone si smarrisce in un campo di grano a pochi minuti dalla fine.Impossibile recuperarlo.Si dovrebbe decretare il pareggio,ma il capitano dell’Inghilterra propone di ritrovarsi tutti dopo trentatre anni e rigiocarla.Stesso campo,stesse formazioni.Trentatre anni però sono quasi una vita e la vita,si sa,regala infinite sorprese…Non aggiungo altro per non togliere la suspence a chi avesse intenzione di cimentarsi nella lettura del libro.Una lettura che vi travolgerà,ve lo assicuro,dalla prima all’ultima pagina,predisponendovi,in un crescendo rossiniano di emozioni,alla risata,alle lacrime,al palpito,alla riflessione filosofica e politica.E,soprattutto,a riconsiderare con altri occhi il vostro amore per lo sport più bello del mondo,che si sublimerà in una partita finale,epica come una battaglia dell’Iliade.
Blackswan, giovedì 26/05/2011
1 commento:
lo comproooooooooooo!!!!
w il calcio che e' democrazia e poesia :)
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