Ci sono occhi che non lasciano scampo, che ti impongono domande, che raccontano
una vita più di qualsiasi parola. Sono gli occhi di Dennis Wilson, la pecora
nera dei Beach Boys, il surfer, il cocainomane, l'eroinomane, l'alcolizzato, il
donnaiolo, un uomo in balia dei propri istinti e della propria genetica
incapacità di convivere con il successo, il denaro, la notorietà. Guardateli questi
occhi, così gonfi di vita: scrutano l’orizzonte come se volessero afferrarlo,
cercano la libertà, una via di salvezza, cercano l'onda. Sono gli occhi di chi dall’oceano ha
avuto tutto, di chi l’onda la cavalcava veramente, e non per metafora,
scommettendo ogni giorno la propria vita in cambio di un respiro di adrenalina.
Dennis Wilson era anche un grande musicista, nonostante nei Beach Boys avesse
un ruolo defilato, nonostante spendesse le proprie energie per immolarsi
sull’altare della droga. Un musicista
sicuramente non geniale e raffinato come il fratello Brian, ma capace
comunque di dare voce alla propria indeterminatezza in modo diretto, sincero,
mutuando dal rock un’urgenza espressiva assolutamente perfetta per la sua indole autodistruttiva. Dennis era un uomo incapace di reggere il peso del
destino, del nome che portava, delle ansie che gli derivavano dall’essere un
Beach Boys. Trovava pace solo respirando l’odore del mare, immergendosi nel suo
oceano, stando in equilibrio su quella tavola che non tradiva mai, che era
riscatto e redenzione. Amico di Charles Manson, di cui capì in ritardo la follia e le derive omicide; sposo cinque
volte, "di cinque donne", come era solito raccontare, "che non mi
hanno mai amato veramente" ; anima perennemente in fuga , che cercava in un
mondo fatto droghe e di alcool la forza per vincere la bestia feroce della
solitudine; morto affogato in quell’ oceano che amava forse più di ogni altra
cosa, a cui consegnava ogni giorno la sua fama e la sua gloria e che tutto gli
portò via. Questa, in buona sostanza, è l’avventura umana di Dennis
Wilson. La cui leggenda, nel 2008, è tornata alla luce grazie a un doppio cd che racchiude
il primo, memorabile, e altrimenti pressochè introvabile, Pacific Ocean Blue, e
il mai pubblicato, e altrettanto leggendario, Bambu.
Non solo un'edizione imperdibile per ogni appassionato di musica californiana, ma anche il modo per scoprire ( o riscoprire ) uno dei dischi più struggenti e intensi ( oltre che misconosciuto ) della storia della musica pop. Un disco,sia subito chiaro per evitare fraintendimenti, anni luce lontano per indole dal divertissement surf dei Beach Boys e dall’art rock, colto e avanguardistico, del fratello Brian. Trentatre canzoni che descrivono meglio di ogni parola la fine del sogno californiano ( il punk in quegli anni stava spazzando via tutto ciò che trovava sul proprio cammino ), una sorta di " Mercoledì Da Leoni " del rock, nel quale attraverso languori nostalgici e disperata rassegnazione, Wilson racconta il crepuscolo privato ed epocale di un uomo e della sua generazione. In un caleidoscopio di suggestioni che abbracciano il gospel e il soul, la psichedelia e il rock, il pop e il blues, fino a derive di malinconico intimismo che sfiorano il percorso tracciato da Robert Wyatt, Dennis scrive una sorta di diario di bordo a ritroso, una pagina di ricordi su un’epopea appena conclusasi e destinata ad essere risucchiata dal passo veloce della Storia. Pacific Ocean Blue racchiude un pugno di canzoni che suonano come un testamento, che cesellano con grazia un gioiello di nostalgia in cui rifulge, per l’ultima volta, la luce del tramonto di un’epoca. Sono canzoni fortemente legale al contesto storico e geografico in cui nascono, eppure al contempo dotate di un linguaggio che universalizza la perdita dell’ innocenza e quegli struggimenti feroci legati al passare di un tempo che non tornerà più. E' sufficiente ascoltare Thoughts Of You , che qualcuno mirabilmente ha definito come i tre minuti più tristi della storia del pop, per svelare l’anima di questa raccolta. Ma le belle canzoni di Pacific Ocean Blue sono tante, troppe probabilmente, per poter essere raccontate tutte in poche righe. Mi limito a citare End Of The Show , dal titolo premonitore, che si appropria del verbo dell’inquietudine declinato così bene solo da Tim Buckley; Time che potrebbe stare benissimo come chiosa melodica di "Rock Bottom" di Wyatt , tanto è disperatamente accorata; You and I che plasma il pop arrivando a forgiare una melodia che fu marchio di fabbrica dei migliori Bee Gees; River Song che gioca con il gospel in una corale tanto maestosa quanto epica. Basterebbero questi cinque pezzi a giustificare l’acquisto di un disco che riesce però a essere coinvolgente dalla prima all'ultima traccia. Merito non solo di una musica scevra da ogni artificio, ma anche della voce arresa di Dennis, che si insinua sotto pelle, che coinvolge l’anima dell’ascoltatore in un gioco di reciproci rimandi e immedesimazioni, che allude al mare, all’interminabile respiro dell’orizzonte, alla salsedine che impregna le nostre inconsolabili solitudini. Guardate quegli occhi in copertina e non perdetevi l'oceano che contengono. Abbandonatevi alle canzoni di Pacific Ocean Blue :sarà come cavalcare the big one, l'onda giusta, quel muro d’acqua e adrenalina che è il Santo Graal di ogni surfer. E quando vi troverete sulla cresta di queste canzoni, ci sarò un attimo, un breve istante, in cui vi sentirete perfettamente liberi. Intorno a voi, solo l’Oceano.
Non solo un'edizione imperdibile per ogni appassionato di musica californiana, ma anche il modo per scoprire ( o riscoprire ) uno dei dischi più struggenti e intensi ( oltre che misconosciuto ) della storia della musica pop. Un disco,sia subito chiaro per evitare fraintendimenti, anni luce lontano per indole dal divertissement surf dei Beach Boys e dall’art rock, colto e avanguardistico, del fratello Brian. Trentatre canzoni che descrivono meglio di ogni parola la fine del sogno californiano ( il punk in quegli anni stava spazzando via tutto ciò che trovava sul proprio cammino ), una sorta di " Mercoledì Da Leoni " del rock, nel quale attraverso languori nostalgici e disperata rassegnazione, Wilson racconta il crepuscolo privato ed epocale di un uomo e della sua generazione. In un caleidoscopio di suggestioni che abbracciano il gospel e il soul, la psichedelia e il rock, il pop e il blues, fino a derive di malinconico intimismo che sfiorano il percorso tracciato da Robert Wyatt, Dennis scrive una sorta di diario di bordo a ritroso, una pagina di ricordi su un’epopea appena conclusasi e destinata ad essere risucchiata dal passo veloce della Storia. Pacific Ocean Blue racchiude un pugno di canzoni che suonano come un testamento, che cesellano con grazia un gioiello di nostalgia in cui rifulge, per l’ultima volta, la luce del tramonto di un’epoca. Sono canzoni fortemente legale al contesto storico e geografico in cui nascono, eppure al contempo dotate di un linguaggio che universalizza la perdita dell’ innocenza e quegli struggimenti feroci legati al passare di un tempo che non tornerà più. E' sufficiente ascoltare Thoughts Of You , che qualcuno mirabilmente ha definito come i tre minuti più tristi della storia del pop, per svelare l’anima di questa raccolta. Ma le belle canzoni di Pacific Ocean Blue sono tante, troppe probabilmente, per poter essere raccontate tutte in poche righe. Mi limito a citare End Of The Show , dal titolo premonitore, che si appropria del verbo dell’inquietudine declinato così bene solo da Tim Buckley; Time che potrebbe stare benissimo come chiosa melodica di "Rock Bottom" di Wyatt , tanto è disperatamente accorata; You and I che plasma il pop arrivando a forgiare una melodia che fu marchio di fabbrica dei migliori Bee Gees; River Song che gioca con il gospel in una corale tanto maestosa quanto epica. Basterebbero questi cinque pezzi a giustificare l’acquisto di un disco che riesce però a essere coinvolgente dalla prima all'ultima traccia. Merito non solo di una musica scevra da ogni artificio, ma anche della voce arresa di Dennis, che si insinua sotto pelle, che coinvolge l’anima dell’ascoltatore in un gioco di reciproci rimandi e immedesimazioni, che allude al mare, all’interminabile respiro dell’orizzonte, alla salsedine che impregna le nostre inconsolabili solitudini. Guardate quegli occhi in copertina e non perdetevi l'oceano che contengono. Abbandonatevi alle canzoni di Pacific Ocean Blue :sarà come cavalcare the big one, l'onda giusta, quel muro d’acqua e adrenalina che è il Santo Graal di ogni surfer. E quando vi troverete sulla cresta di queste canzoni, ci sarò un attimo, un breve istante, in cui vi sentirete perfettamente liberi. Intorno a voi, solo l’Oceano.
Blackswan, lunedì 30/04/2012