Se dovessimo citare
tutte le nomination, i premi vinti e i piazzamenti ai primi posti delle
classifiche americane ottenuti da Eric Church in sette anni di carriera,
probabilmente occuperemmo l'intera pagina del blog e qualcosa ancora
avanzerebbe. Il ragazzo, originario di Granite Falls, North Carolina, è in
circolazione dal 2006, ha solo tre album in studio all'attivo, ma da
tempo ha già superato il confine che separa una giovane promessa da una concreta
e bellissima realtà. In patria, Eric, è già considerato un mostro
sacro del moderno movimento country rock, tanto che la sua ultima fatica, Chief,
uscito nel 2011, ha venduto la bellezza di un milione e trecentomila copie. Un
exploit, questo, che nell'epoca della digitalizzazione e delle musica liquida,
somiglia davvero a una specie di miracolo. La realtà è che Church ha saputo
trovare la formula vincente per proporre una musica dal gradimento trasversale,
capace di interessare i giovani che fanno più fatica ad avvicinarsi alle radici,
ed eccitare la fantasia di quanti, in passato, avevano amato quel movimento
ribelle, l'outlaw country, che aveva come portabandiera il grande Waylon
Jennings. Le canzoni di Church, infatti, sono spesso contaminate,
sporcate da southern rock, da massicce dosi di chitarra elettrica e da
suoni tanto ruvidi che talvolta sconfinano addirittura nei territori
dell'hard rock ( il nostro eroe non ha mai nascosto una passionaccia
per i Metallica, con cui ha condiviso il palco in tour nel 2012). Si aggiunga
una spruzzatina di appeal radiofonico, e il gioco è fatto. Non è quindi
un eccesso di presunzione decidere di rilasciare
questo autocelebrativo live, che racchiude in diciassette canzoni (le hits
fioccano una via l'altra) l'intera carriera del cantautore americano.
Registrato al Tivoli Theatre di Chattanooga, Tennesse, dinnanzi a un
pubblico caldissimo (il mixaggio di Jay Joyce sovraespone il contributo vocale
dei fans, dando all'ascoltatore la sensazione di trovarsi sotto il palco),
Caught In The Act riproduce due show risalenti a ottobre 2012, in cui, a dire il
vero, la musica country è relegata a pochi risibili orpelli. A farla da padrone,
semmai, è il rock, suonato con energico trasporto da una band tonica, che piazza
riff a raffica e non lesina sudore quando c'è da pestare di brutto. Tra le
tante belle canzoni in scaletta, emergonono Drink In My Hand, emozionante per
l'interplay fra il cantante e il suo pubblico, l'hard rock di Lotta Boot Left To
Fill, e la conclusiva Springsteen, sentito tributo di Church a uno degli idoli
musicali della sua gioventù, vincitrice dell'American Country Award come
canzone dell'anno 2012.
VOTO :
7
Blackswan, giovedì 04/07/2013
4 commenti:
Uno dei pochi artisti di country
mainstream che ascolto volentieri.
Il disco è buono, magari riuscirò
a parlarne anch'io, prima o poi.
vedo che stai venendo dalle mie parti..
Voto voto!
@ Monty : attendo di leggere la tua recensione. Il disco è davvero molto piacevole, anche se live, ti assicuro, di mainstream c'è poco.
@ Euterpe : io, dalle tue parti, sto sempre molto bene :)
@ ernest : Olè !:)
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