giovedì 29 agosto 2013

JASON ISBELL - SOUTHEASTERN


Un Jason Isbell pettinato, sbarbato, elegante nel suo completo scuro, ci guarda in un intenso primo piano di copertina. Una foto certamente bella, ma che non ci trasmetterebbe nulla di particolare se non fosse per quegli occhi tristi. Occhi di chi ha dovuto spalare tonnellate di merda per poter tornare a guardare il chiarore del cielo, di chi ha vissuto intensamente ogni istante, di chi ha conosciuto l'abisso e quindi una lenta resusserrezione. La fuoriuscita dai Drive By Truckers (tre dischi e anni di lunghissime ed estenuanti turnè), il divorzio dalla prima moglie Shonna Tuker, la scommessa di una carriera solista, la scimmia dell'alcol che ti afferra alla gola e non ti molla, il dolore della solitudine, l'amore ritrovato, un nuovo matrimonio con Amanda Shires, e poi finalmente, la libertà dal vizio, il ritorno a una vita normale. C'è tutto in quella foto di copertina: un uomo ripulito ma anche un passato che ha lasciato strascichi, cicatrici e ferite ancora sanguinanti, la speranza e il ricordo della perdizione. Le dodici canzoni di Southeastern sono esattamente come gli occhi di Isbell, ci raccontano quel passato, quella tristezza, gli abusi dell'alcol, un nuovo inizio. Piccole storie che sono come confessioni, le parole che dispiegano i lembi di un sudario ed espongono le piaghe, l'anima martoriata di un uomo che è ancora vivo, a dispetto di tutto. Questa è la sincerità di chi non ha più nulla da nascondere e da perdere, di chi vuole lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare la vita proprio dove inizia l'arte, la musica, la forza taumaturgica del rock. Non ci sono lacrime, nè autocommiserazione, solo una maturità compositiva che scarnifica la malinconia, che preferisce raccontare invece che spiegare, trovare un motivo per ripartire (I've grown tired of traveling alone, won't you ride with me, won't you ride?- il country agrodolce di Traveling Alone) invece che recriminare. Sono canzoni pervase da dolorosa quiete, accese talvolta da antiche scintille southern (la possente Super 8), dal passo appena accelerato del folk rock (Stockholm) o dalla spinta vitale di una sferragliante elettricità (Flying Over Water). Piccoli intermezzi, però, quasi fossero una voce a stento trattenuta in un dialogo dai toni intimi e confidenziali. Ed è proprio attraverso la dimensione acustica che Isbell riesce a raccontarsi al meglio, attraverso fragili bozzetti che, ascolto dopo ascolto, divengono grandi canzoni, di quelle da serbare nel cuore per una vita intera: i fantasmi della dipendenza nell'iniziale Cover Me Up, la crepuscolare Live Oak, il pianoforte discreto e nostalgico di Songs That She Sang In The Shower, il lirismo neilyounghiano di Yvette, il pugno allo stomaco di Elephant, storia sgomenta di malattia e morte. 
Southeastern è un disco autunnale, vestito di pallido sole, di vento, di passeggiate all'alba, di foglie che danzano nell'aria e si posano sui nostri passi, secche riminiscenze di una vita passata, che una foto in bianco e nero ha immortalato per sempre. Come gli occhi tristi di Jason Isbell che ci si aggrappano all'anima e non ci lasciano più.
VOTO : 9



Blackswan, giovedì 29/08/2013

mercoledì 28 agosto 2013

THE BLACK LILLIES - RUNAWAY FREEWAY BLUES



Da quando la musica roots è tornato in auge, e stiamo parlando di non più di un lustro, il rock a stelle e strisce gode di ottima salute. E' un proliferare continuo di giovani band, mentre altre, meno giovani, arrivano ad avere un successo che prima sembrava irraggiungibile. Certo, come avviene in tutti i casi in cui la domanda è alta, talvolta l'offerta non è all'altezza, manca la qualità e il suono del momento viene assecondato solo da ragioni di opportunità commerciale. Spesso, invece, si scoprono ottimi grupppi come i Black Lillies, combo proveniente da Knoxville (Tennesse), in circolazione dal 2009, oggi arrivati a rilasciare il terzo album in studio, dopo un paio di buoni dischi realizzati indipendentemente ( Whiskey Angel del 2009 e 100 Miles Of Wreckage del 2001) senza però grossi riscontri di vendite. Questi ragazzi, capitanati da Cruz Contreras, chitarrista, mandolinista, voce impostata da roots rocker e autore di tutti di tutti i brani in scaletta, e dalla vocalist Trisha Gene Brady, lentamente ma inesorabilmente si sono fatti strada, conquistando l'attenzione della critica (Whiskey Angel è stato votato miglior album di americana agli Indipendent Music Awards) e dei media (nel 2011, sono stati il primo gruppo indipendente proveniente dall'area di Knoxville a debuttare al Grand Ole Opry, di cui quest'anno saranno anche fra gli headliner). Runaway Freeway Blues è un disco classico di mountain music che conosce qualche buona intuizione indie folk (la steel guitar disotrta di Goodbye Charlie),e in cui prevalgono gli strumenti acustici (violino, chitarra, mandolino) e solo raramente fa capolino qualche guizzo elettrico (Ruby). Approccio filologico ma non conservatore, le canzoni in scaletta piacciono per la scrittura mai banale che fonde il blue grass con tocchi di southern (Ramblin Boy), di pop (The Fall) e di soul (Baby Doe). Su tutto una spruzzata di zucchero al velo e quel senso vertiginoso da grandi spazi che solo certi paesaggi dell'America rurale sanno regalare. Un gruppo da seguire con attenzione.

VOTO : 7




Blackswan, mercoledì 28/08/2013


martedì 27 agosto 2013

GRAHAM NASH - REFLECTIONS



Uscito nel febbraio del 2009, Reflections è un box set, ricco ed esaustivo, che ripercorre l'intera carriera di Graham Nash, l'anima pop, delicata e sensibile, di quel gruppo straordinario che furono, e sono, i CS&N. Tre cd contenenti sessantaquattro canzoni, tra cui alcuni inediti e molte alternative takes, oltre ovviamente ai brani arcinoti che hanno reso celebre il songwriter di Blackpoll. Un percorso lungo quarantadue anni (il primo brano in scaletta è del 1967 e l'ultimo è del 2009) che porta alla luce anche il repertorio meno conosciuto di Nash, un artista e un compositore non adeguatamente valutato per la produzione discografica rilasciata al di fuori del marchio di fabbrica CS&N. Sta proprio in questo la bellezza di un'operazione come quella di Reflections : regalare all'ascoltatore il ritratto di un Graham Nash forse meno noto, eppure altrettanto fascinoso. Maestro della melodia, capace di addolcire con gusto molto british (e in qualche modo anche beatlesiano) le asprezze rock blues di Stills e le visioni psichedeliche di Crosby, Nash è qui colto attraverso le mille sfaccettature della sua arte, da quando poco più che ventenne faceva impazzire l'Inghilterra con il beat degli Hollies (di cui nel box set sono presenti tre hit, tutte rigorosamente in mono) fino ad arrivare alla soglia dei settantanni (oggi ne ha 71 ed è anche uno stimato fotografo) passando attraverso l'avventura coi CS&N, i suoi dischi solisti e quelli invece nati dal pigmalione artistico con l'amico di sempre, David Crosby. 




A corredare una così sostanziosa raccolta di canzoni, sono un packaging lussuosissimo e un prezioso booklet di 150 pagine, contenente una breve introduzione a firma del cantante, parecchie (e bellissime) fotografie, crediti dettagliati e note a margine con le quali lo stesso Nash spiega la genesi dei singoli brani, regalandoci mille curiosità e svelandoci soprattutto un'anima gentile, malinconica e al contempo politicamente appassionata. Tra le tante canzoni in scaletta, non potevano ovviamente mancare le leggendarie Teach Your Children, Our House, Chicago, Marrakesh Express, Lady Of The Island e Cathedral, che sono sempre un bel sentire, ma che ovviamente già conosciamo a menadito. Il valore aggiunto di Reflections però è rappresentato da tutto il resto: quarant'anni di una musica che non invecchia mai e che ci riporta, laggiù in California, a quei meravigliosi anni '70, quando davvero sembrava possibile che una sola canzone avrebbe potuto cambiare il mondo.




Blackswan, martedì 27/08/2013

lunedì 26 agosto 2013

THE RIDES - CAN'T GET ENOUGH





Esce domani nei negozi uno dei dischi più attesi dell'anno, frutto della collaborazione, di cui si parlava già da mesi, fra Stephen Stills, Kenny Wayne Sheperd e Barry Goldberg. Un supergruppo, quindi, che vede riuniti sotto l'egida The Rides, l'anima blues dei CS&N (Stills), uno dei più talentuosi chitarristi della penultima generazione (Sheperd) e un tastierista, il cui nome dirà poco o nulla a molti, ma che porta sulle spalle almeno 40 di storia del rock, avendo suonato e collaborato con i più grandi di sempre (nel 1965 era sul palco con Dylan a Newport e suonò anche in Super Session, pietra miliare del rock blues, con Bloomfield, Kooper e lo stesso Stills). Al fianco di queste tre stelle di prima grandezza, si schiera la sezione ritimica proveniente dalla band di Sheperd, e composta da Chris Layton (già militante nei Double Trouble di Steve Ray Vaughn) e Kevin McCormick (che ha suonato con Jackson Browne e dal vivo con i CS&N). Visto il filotto di nomi appena citati, non ci vuole davvero molto a capire che disco stiamo andando ad ascoltare. Can't Get Enough si compone di dieci canzoni (alcune cover e altre originali) di un rock blues verace, privo di fronzoli, elettrico e poderoso, giocato prevalentemente sull'interplay fra le due chitarre, supportate alla perfezione dal talento di Goldberg che si alterna all'hammond e al piano. Un disco vecchia scuola, registrato in sette giorni agli East West Studios di Los Angeles e prodotto da Jerry Harrison (ex Talking Heads), che nello specifico ha preso quasi sempre per buono il primo take, lasciando così che i suoni scorressero via liberi, impetuosi e, in alcuni casi, anche assai ruvidi.  






Nessun abbellimento, insomma, ma un'imperante sensazione di presa diretta, di jam fra tre amici che suonano per il gusto di condividere la medesima passione, divertendosi. Fra le cover in scaletta, meritano una menzione Search And Destroy degli Stooges, scelta anomala rispetto al trend marcatamente rock-blues, ma riproposta senza che ne venga indebolita l'anima garage, Honey Bee di Muddy Waters, blues bollentissimo col piano di Goldberg in bella evidenza, e Rockin' In A Free World di Neil Young, scelta forse banale, ma suonata con un'energia e una cattiveria da far impallidire anche la già solida intepretazione che del brano sono soliti proporre a fine concerto i Pearl Jam. Da segnalare, invece, fra i brani originali, Word Game, canzone scritta da Stills ai tempi dei Buffalo Springfield e inclusa in versione acustica nel suo secondo disco solista (1971), qui invece riproposta in un' incalzante dimensione elettrica da "chitarre fumanti", e l'ottima Can't Get Enough Loving You, ballata dal passo lento e bluesato. 
Se è vero che spesso operazioni di questo tipo danno luogo a dischi deludenti, a rimasticamenti privi di entusiasmo e tenuti in piedi per i soliti motivi commerciali che poco hanno a che fare con la musica, Can't Get Enough ha invece il merito, pur nella sua convenzionalità espressiva, di suonare sincero e di unire tre anime che il blues lo amano davvero e lo sanno riproporre al meglio, con doti tecniche impressionanti e soprattutto col cuore. Un cuore grande così.
VOTO : 7





Blackswan, lunedì 26/08/2013

domenica 25 agosto 2013

SUBTERRANEAN HOMESICK BLUES – BOB DYLAN







Subterranean Homesick Blues, brano con cui si apre Bringing It All Back Home, è senza ombra di dubbio una delle canzoni più importanti mai scritte dal menestrello di Duluth. Uscita come singolo nell’aprile del 1965, il brano anticipa quella svolta elettrica (per alcuni un vero e proprio tradimento) che verrà sancita definitivamente qualche mese più tardi con l’esibizione di Dylan al folk festival di Newport e con il rilascio di quell’altro disco epocale che porta il titolo di Highway 61 Revisited. Dylan riesce nell’intento, all’apparenza impossibile, frutto delle sue visioni artistiche: parlare una nuova lingua musicale che contenga contemporaneamente il verbo del rock e la tradizione del folk e del blues. Così Subterranean Homesick Blues (accompagnata da un innovativo video clip che compare nel film documentario Don’t Look Back a firma A.D.Pennebaker, il regista di Monterey Pop, per intenderci ) fonde Chuck Berry e Woody Guthrie, si ispira alla poetica della Beat Generation, contiene espressioni surreali e nichiliste. Ma soprattutto introduce una clamorosa innovazione nel cantato che, non è un azzardo affermarlo, anticipa di almeno vent’anni la nascita del rap: una cadenzata raffica di parole in un crescendo quasi sferragliante, in cui vengono abolite regole grammaticali e simmetrie, per dare vita a un linguaggio energico, ricco di metafore e di termini gergali. Una critica feroce alla società contemporanea, in cui però manca l’ardore della militanza, che viene sostituita semmai da uno sguardo sulle cose distante, ironico e sprezzante, Un nichilismo di fondo che fece sdegnare anche Joan Baez, che a proposito della canzone, in un’intervista, arrivò a dire : “…ho paura che il messaggio che esce da Dylan nel 1965 sia solo: Andiamo tutti a casa a farci delle gran canne, perché tanto non c'è nient'altro da fare”. Eppure, nonostante le piccate parole della Baez, non tutti interpretarono allo stesso modo il testo di Subterranean Homesick  Blues. 

Il simbolo dell'organizzazione Weather Underground



Ci fu infatti chi, qualche anno dopo, e precisamente a partire dal 1969, ne fece un manifesto di lotta e di rivoluzione : erano i Weathermen, gruppo di militanti della sinistra radicale, il cui nome derivava proprio da un verso della canzone di Dylan (You don't need a weatherman to know which way the wind blows -non serve un meteorologo per capire da che parte tira il vento). Il Weather Underground (questo il nome del movimento a cui appartenevano i weathermen) era un’organizzazione comunista, legata a doppio filo con il movimento delle Black Panthers, che fu particolarmente attiva durante gli anni della contestazione giovanile. I suoi appartenenti furono accusati ingiustamente di terrorismo, mentre, in realtà, come nel caso delle Pantere Nere, le azioni messe in atto dai weathermen erano prevalentemente non violente e dimostrative (la rocambolesca evasione del padre dell’LSD, Timothy Leary) e comunque sempre effettuate in risposta a quelli che venivano ritenuti atti violenti o guerrafondai del governo statunitense (l’invasione del Laos, il golpe cileno del 1973). Per chi volesse approfondire la storia del Weather Underground, consiglio la visione di La Regola Del Silenzio, bel film datato 2012, per la regia di Robert Redford. 






Blackswan, domenica 25/08/2013