Temo
sempre molto gli strombazamenti della stampa specializzata, pronta ad
affibbiare in quattro e quatr’otto l’etichetta di “next big thing” o “new sensation”
al primo gruppo di ragazzini il cui unico merito è quello di possedere un
notevole hype, il più delle volte immeritato. Dei Treetop Flyers, quindi, ne
avevo fin sopra le balle ancora prima di ascoltare Mountain Moves, primo full
lenght, preceduto soltanto da un EP pubblicato nel 2009, ben quatttro anni prima
di questo esordio. Tuttavia, alla fine, mi sono deciso, ho preso il coraggio a
due mani, e, con qualche mese di ritardo, devo ammetterlo, mi sono immerso nell’ascolto
del disco. Che, chiedo subito venia per tanta iniziale sfiducia, è in realtà molto
meglio di quanto mi aspettassi. Londinesi, vincitori nel 2011 del Glastonbury Festival
per le band emergenti, i Treetop Flyers si muovono in territori musicali che
sono lontani anni luce dalla cultura anglosassone e scrivono canzoni tanto
anacronistiche da essere, in virtù del sentimento nostalgico che le pervade,
addirittura commoventi. Già, perché il quintetto guidato da Reid Morrison,
invece di accodarsi nella redditizia scia del nu folk britannico (vedi Mumford
& Sons), va a riscoprire le sonorità che erano tanto in voga dall’altra
parte dell’Oceano, quarant’anni fa circa. Così, fin dal primo ascolto, tornano
subito in mente altri più noti musicisti cresciuti in terra d’Albione ma che hanno
poi finito per sposare con entusiasmo la causa musicale a stelle e strisce: su
tutti, Graham Nash e gli America. Ed è proprio del gruppo capitano da Gerry
Beckley che i Treetop Flyers sembrano essere appassionati epigoni (ascoltate il
singolo Things Will Change e fatevene una ragione), pur non disdegnando
citazioni che chiamano in causa CS&N, Creedence Clearwater Revival, Doobie
Brothers e Eagles. Suoni westcostiani come se piovesse e tutto ovviamente già
sentito un milione di volte. Tuttavia, Morrison & Co. ci regalano un
filotto di canzoni credibili, fresche (per quanto lo possa essere una musica
smaccatamente derivativa) e dallo speziato abboccato melodico, che riesce però
quasi sempre a tenersi lontano delle dolciastre intrusioni pop di cui erano
impregnate certe uscite discografiche dei citati America. Il risultato finale è
convincente e piacevole: nulla che meriti titoloni sulle riviste
specializzate, ma un buon disco da ascoltare tutte le volte che abbiamo voglia
di sognare California o immaginiamo di fare due passi in qualche leggendario
sobborgo di Los Angeles. Vi dice qualcosa Laurel Canyon ?
VOTO
: 7-
Blackswan, sabato 28/09/2013
4 commenti:
Recensiti sul mio blog esattamente 3 anni fa con L'EP che hai citato.
Il brano che hai inserito in effetti sembra una fotocopia Di Ventura Highway dei miei adorati America e parafrasando un tormentone di grande successo degli ultimi mesi ti dico, alla faccia delle scopiazzature, "I love it...I don't care..."
Ho aperto i commenti pensando agli America ed ecco che ti trovo il commento di Euterpe. Perfetto.Come anche gli Eagles, il filotto è quello (che comunque a me piace ascoltare di tanto in tanto..)
Be', se sono un pelo vicini a quelli che citano, meritano più di un ascolto.
@ Euterpe : effetivamente il disco è strapieno di citazioni, ma anche a me piace a prescindere :)
@ Mr Hyde : il parallelo con gli America era immediato. Certo, qui manca una A Horse With No Name, ma i suoni sono davvero simili.
@ Alli : ci si avvicinano davvero molto :)
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