Il 2013 si sta
chiudendo ed è tempo di fare i consueti bilanci musicali. A parere di chi
scrive, era da tempo che non si aveva un’annata così ricca di ottimi titoli, soprattutto
cercando al di fuori dei consueti canali “mainstream”. Ho deciso quindi per il
2013 di estendere la classifica a trenta album, dal momento che mi sarebbe
sembrato un delitto non citare alcuni dischi che solo per un pelo non sono
entrati nella top twenty. Mi scuso fin da ora per eventuali omissioni: certi
dischi, apprezzati dai lettori o incensati in altri blog, non mi sono piaciuti
o almeno non così tanto da inserirli in classifica; altri non rientrano invece
nel taglio musicale di questa pagina, orientata decisamente verso il rock. Colgo
l’occasione per ringraziare quanti mi hanno seguito con passione anche quest’anno,
i lettori occasionali e tutti coloro che mi hanno suggerito e fatto conoscere
buona musica.
30) THE STRYPES –
SNAPSHOT
Non si spiegherebbe altrimenti un disco così, che si, è dannatamente
derivativo, ma mai, in nessuna traccia della scaletta, tradisce il suono frusto
e imbolsito di chi scopiazza dal passato spacciandosi come dottorone del
rock’n’roll. Questi, lo si capisce ascoltandoli, hanno studiato seriamente:
giorni interi ad ascoltare i dischi dei loro nonni, a provare e riprovare,
chini sugli strumenti, fino a farsi venire le vesciche alle dita, a calcare i
palchi di migliaia di localacci per allenare il fisico e lo spirito in attesa
delle goupies e delle scorribande alcoliche. E non è cosa da poco, in un mondo
in cui il primo scalzacane con un bel faccino e una buona dose di hype, si
ritrova sulle copertine delle riviste specializzate senza avere uno straccio di
idea che sia una. Sono derivativi, è vero, ma cazzo ci mettono sudore e
intensità. Citano gli Stones, gli Yardbirds, il pub rock dei Dr. Feelgood, e
qui e là si sente che non stati insensibili alla rumorosa ipervelocità dei
Ramones. Il risultato finale è un disco divertente e umorale che ci riporta
agli anni d’oro in cui la musica era patrimonio di giovani incazzati e
desiderosi di cambiare il mondo…
29) PREFAB
SPROUT – CRIMSON/RED
Ad ascoltare questo Crimson/Red, composto di brani,
alcuni recenti, altri risalenti agli anni '90, vien da pensare a quanto sia
ancora ricolmo di tesori lo scrigno del cantante originario di Durham. Dieci
canzoni, tutte scritte e suonate dal solo McAloon, che mettono in fila gli
aspiranti poppettari dell'ultimo decennio, a cui un tale concentrato di
raffinatezze melodiche deve apparire un'impresa titanica da
realizzare, qualcosa di simile ad affrontare la maratona di New Yok
indossando calzettoni di spugna e infradito. McAloon, invece, inanella in
scioltezza colpi di genio (la sirena della polizia nell'iniziale The Best Jewel
Thief In The World) e carezzevoli filastrocche consacrate da imprimatur divino
(The Old Magician), dimostrando, se mai ce ne fosse bisogno, che nonostante gli
acciacchi il migliore resta sempre lui. Un pò vecchio mago e un pò
ladro di gioielli, esattamente come nei titoli delle due canzoni poc'anzi
citate…
28) ARCTIC MONKEYS – AM
Le canzoni di AM denotano invece un’architettura
sonora più riflessiva, che continua a mantenere un appeal giovanilistico e modaiolo,
ma che si fa al contempo più variegata, a tratti anche elusiva, ricca di
citazioni (Arabella va a pescare charleston e riff da War Pigs dei Black
Sabbath) e con sfiziosi ammiccamenti a certa musica nera, hip – hop e soul in
primis. Forse i fans della prima ora, memori del notevole passo falso di Suck
It And See (2011), troveranno più di una
ragione per considerare AM l’album del tradimento definitivo. Per coloro che
invece gettano uno sguardo più distaccato sulle vicende della band di Sheffield
, AM è un signor disco, di quelli da tenere in heavy rotation sullo stereo di
casa e nella libreria Itunes. Basterebbe un incipit folgorante come Do I Wanna
Know? (cazzo, sto consumando la traccia e il ritornello in falsetto non mi fa
dormire la notte) a giustificare euforici ascolti e stima imperitura nei
confronti del talentuoso Turner. Il resto delle canzoni è (prevalentemente)
buono, dannatamente buono. E questo, non me ne vogliano le frange ortodosse
della tifoseria, è il punto più alto della discografia degli Arctic Monkeys…
27) GARLAND JEFFREYS – TRUTH SERUM
Eppure, dal momento che l'amore, quello vero, nasce
dalla consapevolezza, dal considerare i difetti come parte di un tutto che ci
ammalia, possiamo dire, con l'obiettività di cui siamo capaci,
che Garland ci ha regalato un'altra ottima prova. Fatta di belle canzoni,
certo, ma anche (e forse soprattutto) di sincerità, di una cura
artigianale nel ritagliare e cucire quei suoni che paiono ancora figli
della medesima passione di quando lui di anni ne aveva quaranta e noi invece eravamo
solo adolescenti. Possiamo dire allora che il reggae di Dragons To Slay mette
in fila tutti gli indie hipster multietnici da sushi bar, che il blues
della title track è sangue che scorre nella pece, che la ballata in quota
Stones di It's What I Am non smetteremmo mai di ascoltarla per quanto ci
ricorda Wild Horses o che Ship Of Gold è insieme scorbutica e dolce e per
questo irresistibile. Poi ci sono i difetti, è inevitabile, e sono gli stessi
che vediamo in noi quando ci guardiamo allo specchio. Un pò disillusi,
un pò stanchi, forse azzoppati, ma sempre cavalli di razza, esattamente come
Garland. Che ci fa sentire, almeno nell'anima, come fossimo ancora "wild
in the streets". E non è poco.
26) BLACK SABBATH – 13
Così 13 restituisce alle nostre orecchie quel
fascino notturno e demoniaco che ci eravamo dimenticati, grazie a una
produzione certo invasiva, ma eccellente nel disegnare le atmosfere
claustrofobiche entro le quali i nostri eroi
si muovono con la stessa scioltezza con cui noi ci aggiriamo fra le
pareti domestiche. Ozzy, peraltro, sembra aver ripreso un piglio che recenti
prove canore (mi viene da pensare subito alla collaborazione con Slash) ci
testimoniavano irrimediabilmente perduto (ascoltatelo in Damaged Soul e
godete), mentre Butler e Iommi stanno sul pezzo come ai bei vecchi tempi (e
sentire Iommi che riffa ai margini dell’abisso, nonostante quel po’ po’ di
malanno che si è beccato, è addirittura commovente). Otto canzoni (alcune
notevoli davvero come Loner e Dear Father) che ripropongono un doom-metal dal
sapore antico ma non frusto, e anzi incredibilmente credibile e malevolmente
sulfureo. Un sabba di streghe, probabilmente l’ultimo, che si chiude con lo
scrosciare di un temporale e il rintocco di una campana a morto. Tutto ciò,
insomma, che ci si doveva attendere da un disco dei Black Sabbath, né più né
meno…
Blackswan, martedì 24/12/2013
4 commenti:
Un abbraccio e buon natale Nick.
bene gli arctic monkeys, male il resto!
i black sabbath dovrebbero andare in pensione e gli strypes con i loro suoni pulitini sembrano la versione rock'n'roll di justin bieber... :)
Happy Christmarx :)
Tra questi il mio preferito dell'anno! Indovina!
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