Dunque, ci siamo:
ecco la top five del killer per il 2013. Una scelta non facile visto che, come
ho anticipato, è stato un anno ricco di soddisfazioni musicali. Alla fine, ho
deciso di premiare con il primo posto il nuovo lavoro di Jason Isbell,
Southeastern, che non è solo un grande disco sotto il profilo artistico, ma possiede
soprattutto il merito di essere un opera sentita, diretta, sincera. E la sincerità,
nell’arte, come nella vita, alla fine fa la differenza.
5) BUDDY GUY – RHYTHM
& BLUES
Scrivere una recensione su Buddy Guy è talmente
facile che se fossi un giornalista professionista non mi farei pagare nulla,
perchè sarebbe un pò come rapinare un pensionato fuori le Poste o prendere a
schiaffi un bimbetto per sottrargli un pacchetto di caramelle. Basterebbe,
infatti, raccontare, ma solo un pò, senza dilungarsi troppo, chi è questo
signore che ha letteralmente inventato la chitarra rock nel blues, che è stato
il lume tutelare e la guida stilistica di artisti del calibro di Eric Clapton,
Jeff Beck, Keith Richards, per portare a termine il compitino e guadagnarsi la
pagnotta. D'altra parte, tutti i fans di Guy, o anche solo chi ama il blues e
una chitarra suonata come Dio comanda, non perderebbero mai tempo a
leggere una recensione così. Uno che ha fatto il chitarrista per Muddy Waters e
Howlin' Wolf, che ha vinto sei Grammy Awards, che ha pubblicato capolavori come
Hoodoo Man Blues (1965) con Junior Wells e Stone Crazy ! (1981), non si
legge, si compra a scatola chiusa. Quindi, questa prolusione, queste parole e
tutte quelle che seguiranno sono assolutamente inutili. Tuttavia, visto che
scrivo gratis e per diletto, e non mi approprio indebitamente del denaro
altrui, qualcosina in più la dico. Ad esempio, che Rhythm & Blues è un
disco doppio, un cd dedicato al rhythm e uno al blues (ma in realtà i
generi si sovrappongono senza una rigorosa suddivisione), ed è composto da
una scaletta di ventun canzoni, ciascuna delle quali è un piccolo
capolavoro artigianale di perizia tecnica (la band che accompagna Guy è
composta da gente del calibro di Tom Hambridge - autore o coautore di
quasi tutti i brani - e David Grissom) e intensità emotiva. Inoltre, come
ciliegiona sulla torta, Buddy si è portato in studio un pò di amici
per qualche ospitata extralusso : la Muscle Shoal Horns ai fiati
(addirittura scintillanti nell'iniziale Best In Town), Beth Hart (ormai è
ovunque) che giganteggia nella clamorosa What You Gonna Do About Me, e tre
quinti degli Aerosmith (Perry, Tyler e Whitford) che dardeggiano in Evil Twin
(ci sarebbero anche Keith Urban e Kid Rock, su cui è meglio sorvolare
visto che costano un punto al voto finale che darò al disco). Altre cose
inutili da dire? Ah, già. Rhythm & Blues è un vademecum su come si suona
la chitarra elettrica : riff, soli, slide, wah wah e un'esuberanza fisica sullo
strumento che ti aspetteresti da un ventenne e non da uno che ha gli stessi
anni di Berlusconi. Disco memorabile, recensione supeflua.
4) NICK CAVE AND THE BAD SEEDS – PUSH THE SKY
AWAY
Il rischio, quando ci si trova a recensire un
disco di Nick Cave, è quello di prenderla alla lontana, come se
ripercorrere il cammino tortuoso intrapreso da questo poliedrico artista
(musicista, sceneggiatore e scrittore), fosse necessario a comprendere il senso
di ogni sua opera. In realtà l'esercizio sarebbe inutile e stucchevole, dal
momento che non esiste un filo logico che lega il rock anarcoide dei Birthday
Party a un disco introspettivo come, ad esempio, No More Shall We
Apart, nè una motivazione che giustifichi il passaggio dal progetto punk-noise
dei Grinderman o dalla vivacità di Dig, Lazarus, Dig ! (ultima prova
a nome Bad Seeds) alle atmosfere sommesse e quasi oniriche di questo Push
The Sky Away. L'unica certezza è che Cave procede istintivamente, segue la
passione del momento e vi si dedica anima e corpo, senza pianificare le tappe
di un progetto che in realtà non esiste. Oggi, il rocker australiano è in palla
per il cinema, scrive colonne sonore (Lawless, The Road) e sceneggiature, e
condivide questa passione con Warren Ellis, l'influente "seme
cattivo" con cui collabora ormai da tempo.(in coppia hanno
rilasciato White Lunar nel 2009). Forse in questo modo si può spiegare il senso
di Push The Sky Away, un album che suona come un concept dal
fortissimo impatto visivo, che suggerisce ed evoca tramite immagini, quasi
fosse un lungo piano sequenza in chiave rock. Non un disco semplice nè di
facile assimilazione, ma un'opera che, come per un film refrattario al
montaggio, richiede all'ascoltatore una predisposizione istintiva
alla lentezza e all'elusione poetica. Le nove canzoni che lo
compongono hanno infatti un andamento sommesso, si muovono con passo felpato
attraverso atmosfere spesso rarefatte, celando la propria crepuscolare bellezza
nell'ipnotica omogeneità di suoni distanti dal "solito" Cave. Le
melodie restano infatti sotto traccia, quasi si nascondono ai primi ascolti,
per poi essere svelate in tutto il loro nitore da un particolare che
inizialmente non era stato colto. Push The Sky Away ha bisogno, forse più di
ogni altro disco di Cave, di continue attenzioni : come quando leggiamo una
pagina di un romanzo che percepiamo ricca di contenuti, e che torniamo a
rileggere più volte perchè la comprensione sia completa, definitiva. Così
facendo, scopriamo che queste canzoni, ascolto dopo ascolto, nonostante
gli scarni arrangiamenti e l'andamento all'apparenza monocorde,
sanno coglierci di sorpresa ed scuoterci, all'improvviso, con le
extrasistole di palpiti intensificatisi alla distanza. Silenzi e piene
orchestrali, la voce profonda e umorale di Cave, il pulsare trip hop della
sonnolenta We No Who U R, l'organo e le voci angeliche della title track, gli
accenni di elettronica a convivere con arrangiamenti d'archi, gli echi sinistri
dell'immensa Jubilee Street (qui Cave è ai suoi vertici compositivi),
il lirismo straziante di Mermaids e i quasi otto minuti di Higgs Boson Blues,
in cui il suono inquieto dei Bad Seeds torna a dialogare col
ribollire del nostro sangue. Chi saprà avere pazienza e accetterà
che lo scorrere del tempo sia metronomo delle proprie emozioni,
riuscirà ad ottenere il massimo da Push The Sky Away. Che in senso assoluto
non è un disco imprescindibile, ma in soggettiva può creare forte
dipendenza.
3)
JONATHAN WILSON – FANFARE
Ascoltare Fanfare è come aggirarsi per le
bancarelle di un mercatino delle pulci. Puoi attraversarlo rapidamente,
gettando uno sguardo superficiale a destra e a manca, e ciò che ti rimarra in
mente sarà solo l'impressione di aver attraversato un luogo vitale e chiassoso,
nel quale voci, colori e oggetti si sovrappongo, indistinguibili, in una
festante confusione. Ma se ti prendi del tempo, ti aggiri fra gli oggetti in
vendita, li tocchi, ne soppesi l'intrinseco valore o ne indaghi la bellezza
esteriore, allora finisci per scoprire verità interessanti e preziose, che a
uno sguardo disattento sarebbero sfuggite. Devi spulciare, soffiare via la
polvere, fare attenzione ai particolari, un pò come se ti soffermarsi a passare
le dita sulle finiture di una rilegatura che da pregio al libro che hai in
mano. Un particolare, anche piccolo, che alla fine risulta decisivo ed esalta
la bellezza del tutto. Jonathan Wilson, chitarrista, cantante, pianista,
polistrumentista, tecnico del suono e produttore (Dawes), ci ha aperto le porte
del suo personale mercatino folk rock e ci ha invitato a entrare. Già nel
2011, con Gentle Spirit si era presentato al mondo come un esperto
collezionista dei suoni che negli anni '70 andavano per la maggiore dalle parti
di Laurel Canyon. Eppure, nonostante lo sguardo rivolto a quell'epoca
leggendaria, l'approccio del musicista californiano non sembrava quello di un
passatista, di uno cioè che conserva la tradizione perchè incapace di
vivere con piena soddisfazione il presente. Le quindici canzoni di Gentle
Spirit infatti non riesumavano un suono, semmai lo sviluppavano
nuovamente, indirizzandolo verso strade non ancora (troppo) battute. E fu
un pò come riprendere un cammino interrotto e puntare ancora verso
l'orizzonte, dopo essersi rifocillati e aver riempito lo zaino di
provviste.
Due anni dopo da quel disco, Fanfare porta a
compimento la prima parte di un percorso che approda in un mondo per
certi versi inesplorato, come se Wilson, con un misterioso esperimento
alchemico, avesse rivitalizzato il meglio di una generazione arricchendolo però
di nuove intuizioni. Da quegli anni memorabili richiama in carne e
ossa Jackson Browne, David Crosby e Graham Nash; si fa pervadere
dallo "spirito gentile" di Joni Mitchell che ispira angeliche
soluzioni melodiche dalle sfumature jazzy (l'iniziale title track); chiede
una mano a Mike Campbell e Benmont Tench (membri degli
Heartbreakers di Tom Petty), due musicisti che l'americana la masticano da
tempo e anche bene; e per finire si avvale della collaborazione di
Pat Sansone, che coi suoi Wilco ci ha insegnato che le parole
"alternative" e "pop" possono vivere in felice
condominio con la roots music. Il resto invece è tutta farina del suo sacco di
compositore eccellente. Ed è una farina macinata dopo aver consumato di
ascolti Pacific Ocean Blue, capolavoro inquieto e visionario di un altro
Wilson, che faceva di nome Dennis e che fece la Storia insieme ai Beach
Boys del fratello Brian. Il nuovo rock californiano di Jonathan è
tutto questo e altro ancora : c'è Dylan, ci sono i Byrds, e ad
ascoltare bene, Fanfare pesca anche dai suoni provenienti dall'altra
sponda dell'oceano, visto che qui e là echeggiano i Pink Floyd e i Beatles.
Wilson amalga il tutto, stratifica le canzoni sovrapponendo
le partiture, toglie la polvere, spazza via la nostalgia e il
citazionismo, porta una manciata di raggi di sole e si diverte a
giocare con la sua visione (moderna) di psichedelia. Complesso senza essere
cerebrale, sfaccettato senza diventare mai tortuoso, Fanfare è un disco che
necessita di ripetuti ascolti e di una predisposizione al volo pindarico, a
lasciarsi condurre verso i quattro punti cardinali di un mappamondo musicale le
cui coordinate di navigazione appaiono chiare solo al momento dell'approdo.
Come nel mercatino di cui si diceva all'inizio, serve prendersi il tempo
giusto, ascoltare e aspettare. Solo così, fra le bancarelle di Wilson troverete
alcune delle cose più preziose di questo 2013.
2) TEHO TEARDO & BLIXA
BARGELD – STILL SMILING
Come ogni sabato, entro nel mio negozio di dischi
preferito per fare la scorta settimanale di musica. Mi muovo con consumata
perizia fra uno scaffale e l'altro, sapendo esattamente dove troverò
i cd che mi interessano. Tuttavia, questa volta, le note provenienti dallo
stereo sistemato dietro il bancone, attraggono la mia attenzione e mi
deconcentrano. Scorro le copertine dei cd con disattenzione, aguzzo le orecchie
e interrompo il flusso consolidato di movimenti abituali. Mi giro verso il
commesso e chiedo lumi sul disco che stiamo ascoltando. E' il nuovo lavoro di
Teho Teardo con Blixa Bargeld, mi risponde. Teardo mi dice qualcosa, ma la mia
mente non riesce a produrre collegamenti plausibili. Una breve ricerca su
internet, appena arrivato a casa, dipana ogni nebbia : una
lunga carriera solistica in ambito industrial e tante colonne sonore (Il
Divo, La ragazza del Lago, L'amico di Famiglia, Lavorare Con Lentezza). Il nome
di Blixa, invece, crea immediati rimandi : Nick Cave, i Bad Seeds e
soprattutto quel gruppo tedesco, gli Einsturzende Neubauten, che non riesco mai
a pronunciare completamente senza attorcigliarmi la lingua. Ma i nomi, importano
relativamente. La musica che sto ascoltando è talmente straniante, e al
contempo coinvolgente, che voglio quel cd a prescindere. Nei giorni
successivi, Still Smiling, è sempre nel lettore : lo passo una, due, tre, dieci
volte, senza alcuna soluzione di continuità. La cosa strana è che più
lo ascolto e maggiormente cresce in me la curiosità di riascoltarlo, come se
ogni volta, ogni singola volta, non fosse sufficiente per
coglierne l'intima essenza. La ricchezza dei suoni, le stratificazioni e i
continui cambi di registro confondono. Se la struttura architettonica del disco
appare esteriormente un complesso armonioso ed equilibrato, andando a fondo,
soffermandosi sulle singole canzoni, si percepisce invece la complessità di un
messaggio consapevolmente controverso, un ondivago percorso musicale che
si esprime nella seducente dicotomia fra pieni e vuoti, barbagli di sole e
silenzi crepuscolari, epica e intimismo, puntuta ironia e languori
malinconici. l disco è pervaso da una schizofrenia di fondo, certo trattenuta e
incanalata, che è soprattutto schizofrenia del linguaggio. Linguaggio musicale,
dal momento che le composizioni si sviluppano sul contrasto spiazzante fra il
calore di strumenti ad arco (violinio, viola, violoncello) e la freddezza
(post)industriale di un'acuminata elettronica. Ma anche, e soprattutto,
linguaggio inteso come comunicazione, come collante indispendabile per una
musica (e una società) che sia realmente mitteleuropea. Non è un caso che
il disco sia cantato in tre lingue, inglese, italiano e tedesco; non è un caso
che la voce, profonda e morbida di Blixa, più che cantare, declami, lentamente,
con limpida scansione metrica, come a voler essere comprensibile a
tutti; ne è un caso che il disco si apra con la splendida Mi
Scusi, con cui Bargeld si accosta al nostro universo culturale ("il latino
fatto a scuola a un livello cavernicolo") e linguistico ( " l'accento
no, non se ne va"), con la sensibilità e l'umiltà dell'uomo
saggio innanzi al terreno sdrucciolevole dell'inesplorato. Con quella grazia e
quell' attenzione che dovrebbe uniformare ogni rapporto umano alla ricerca di
un punto in comune. Comunicare, entrare in contatto. Eppure, non è agevole
trovare in Still Smiling luoghi comuni o termini di paragone che facilitino la
comprensione. Ogni rimando è poco più che fuggevole. Mi sono venuti in
mente gli Area, John Parish, Yann Tiersen (soprattutto nel dipanarsi
ellittico della malinconica Come Up And See Me), i citati Einsturzende
Neubauten, ma è stato l'attimo di una sensazione. Poi, ogni canzone si defila,
reinserendosi nell'alveo di una genialità cristallina e pressochè
indefinibile. Così verrebbe da dire che, innanzi a questa sinfonia del
contrasto, a questa sconvolgente sinergia musicale degli
opposti, forse è meglio finirla qui, limitarsi riconoscere l'immensa
statura di Still Smiling e attendere, braccia conserte, il mese di dicembre.
Tanto, il disco più bello dell'anno, lo abbiamo già trovato (invece, è
secondo solo per un pelo).
1) JASON ISBELL – SOUTHEASTERN
Un Jason Isbell pettinato, sbarbato, elegante nel
suo completo scuro, ci guarda in un intenso primo piano di copertina. Una foto
certamente bella, ma che non ci trasmetterebbe nulla di
particolare se non fosse per quegli occhi tristi. Occhi di chi ha dovuto
spalare tonnellate di merda per poter tornare a guardare il chiarore del cielo,
di chi ha vissuto intensamente ogni istante, di chi ha conosciuto l'abisso e
quindi una lenta resusserrezione. La fuoriuscita dai Drive By Truckers (tre
dischi e anni di lunghissime ed estenuanti turnè), il divorzio dalla prima
moglie Shonna Tuker, la scommessa di una carriera solista, la scimmia
dell'alcol che ti afferra alla gola e non ti molla, il dolore della solitudine,
l'amore ritrovato, un nuovo matrimonio con Amanda Shires, e poi finalmente, la
libertà dal vizio, il ritorno a una vita normale. C'è tutto in quella foto di
copertina: un uomo ripulito ma anche un passato che ha lasciato
strascichi, cicatrici e ferite ancora sanguinanti, la speranza e il
ricordo della perdizione. Le dodici canzoni di Southeastern sono
esattamente come gli occhi di Isbell, ci raccontano quel passato, quella
tristezza, gli abusi dell'alcol, un nuovo inizio. Piccole storie che sono come
confessioni, le parole che dispiegano i lembi di un sudario ed espongono le
piaghe, l'anima martoriata di un uomo che è ancora vivo, a dispetto di tutto.
Questa è la sincerità di chi non ha più nulla da nascondere e da perdere, di
chi vuole lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare la vita proprio dove
inizia l'arte, la musica, la forza taumaturgica del rock. Non ci sono lacrime,
nè autocommiserazione, solo una maturità compositiva che scarnifica la
malinconia, che preferisce raccontare invece che spiegare, trovare un
motivo per ripartire (I've grown tired of traveling alone, won't you ride
with me, won't you ride?- il country agrodolce di Traveling Alone)
invece che recriminare. Sono canzoni pervase da dolorosa quiete, accese
talvolta da antiche scintille southern (la possente Super 8), dal passo
appena accelerato del folk rock (Stockholm) o dalla spinta vitale di
una sferragliante elettricità (Flying Over Water). Piccoli intermezzi, però,
quasi fossero una voce a stento trattenuta in un dialogo dai toni intimi e
confidenziali. Ed è proprio attraverso la dimensione acustica che Isbell riesce
a raccontarsi al meglio, attraverso fragili bozzetti che, ascolto dopo ascolto,
divengono grandi canzoni, di quelle da serbare nel cuore per una vita intera: i
fantasmi della dipendenza nell'iniziale Cover Me Up, la crepuscolare Live Oak,
il pianoforte discreto e nostalgico di Songs That She Sang In The Shower, il
lirismo neilyounghiano di Yvette, il pugno allo stomaco di Elephant, storia
sgomenta di malattia e morte.
Southeastern è un disco autunnale, vestito di
pallido sole, di vento, di passeggiate all'alba, di foglie che danzano
nell'aria e si posano sui nostri passi, secche riminiscenze di una vita
passata, che una foto in bianco e nero ha immortalato per sempre.
Come gli occhi tristi di Jason Isbell che ci si aggrappano all'anima e non ci
lasciano più.
Blackswan, domenica 29/12/2013
12 commenti:
Il primo posto è un raffinato disco che ricordavo di aver sentito , ma che una volta in mente ti strazia l'anima anche se non conosci una parola di inglese.
La mia simpatia come sempre mi tradisce e Nick Cave cammina per primo al mio fianco!!
Grazie Blacky , come sempre...suggestive le tue impressioni su ogni pezzo!
Arigrazie!
Grandissimo primo posto!
Sottoscrivo alla grande!
riferito a Buddy Guy: Recensione inutile? Non credo proprio: l' ho letta tutta con estremo interesse trovandomi d'accordo sul ruolo di maestro di Buddy Guy sui chitarristi che hai citato.Un grande e un puro ,come puro è il blues.Bel post in generale, ma questa parte in particolare, esaltante. Grazie!
ottime scelte!
...come classifica dei dischi più noiosi dell'anno ahah ;)
Una bella cavalcata, complimenti!
Non mi aspettavo di trovare Isbell
in cima, ma di certo il suo è
un disco stupendo (che sarà ben piazzato
anche nella mia, appena riuscirò a terminarla).
me li sono ascoltati tutti e anche un'ignorante come me capisce il perchè di queste scelte! ;)
Ma, a proposito: qual'è il tuo
negozio di dischi preferito?
Jason e Jonathan due ottimi dischi!
@ Nella : Cave resta un grande, primo o quarto posto che sia.
@ James : Grande !
@ Mr. Hyde : è inutile perchè come si fa a scrivere di uno così ? I suoi dischi si commentano da soli :)
@ Marco : se vuoi passare da me, ti presto qualche buon cd :)
@ Monty : il disco di Isbell è diventato imprescindibile nella mia collezione. Ancora oggi lo ascolto spesso e volentieri.
PS: vado da Buscemi.
@ Qualcosascrivo: non sei affatto ignorante. Felice che le mie scelte ti siano piaciute :)
@ Euterpe . non avevo dubbi sul fatto che ti sarebbero piaciuti
Bella ed interessante classifica.....mi spiace solo non vedere i Placebo nella top 30.... Secondo me meritavano...bosco e' una perla di rara bellezza che difficilmente ti togli dalla testa.. Forse troppo pop per il killer? Per me meglio del disco dei truth and salvage co. per esempio.... ;)))
Un abrazo hermano e grazie per un altro bellissimo anno del blog che ogni giorno regala qualcosa di prezioso :)
@ Offhegoes: del disco ne avevo parlato bene, ma personalmente non mi pareva all'altezza dei primi trenta. Troppi bei dischi,quest'anno.
Un abbraccione a te :)
PS : se guardi in alto a destra, c'è anche il banner del mio primo libro( è una collaborazione a più mani).
in loop bargeld e teardo.
volano alti su tutti.
diciamolo.
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