Jason Molina se ne è andato il 27 marzo dello
scorso anno, all’età di soli trentanove anni. Se lo sono portati via una feroce
dipendenza dall’alcol (che l’aveva allontanato dalle scene fin dal 2009) e l’ancora
più feroce sistema sanitario americano, i cui costi elevatissimi per cure e
riabilitazione erano insostenibili per il songwriter, privo della necessaria
assicurazione. Una morte drammatica e prematura, che in qualche modo la
scrittura di Molina, così depressa e malinconica, aveva prefigurato in tante
occasioni. Non è certo questa la sede per sviscerare la vita e la discografia
di uno degli artisti più importanti della sua generazione. Basti ricordare che
Molina può essere accostato ai grandi songwriters che hanno contribuito a
rivitalizzare la scena americana, roots e indie. Mi viene in mente subito un
paragone abbastanza scontato con Elliott Smith, anch’esso vittima di una vita consumata
negli eccessi e da un male di vivere così pesante da diventare, in fine,
insostenibile. Ma penso anche, e soprattutto, a Vic Chesnutt, e al suo folk
rock scarnificato e malinconico, che spesso confluiva in una tormentata e
avanguardistica ricerca di sperimentazione. Con in cantautore della Georgia,
Molina condivideva non solo un bagaglio di debolezze autodistruttive, ma anche
il medesimo linguaggio artistico, il coraggio di mettersi a nudo completamente,
senza indulgere nell’autocommiserazione o nel soliloquio consolatorio. The
Magnolia Electric Co., ultimo disco di Molina dietro il moniker Songs: Ohia, è
forse il suo disco più convenzionale e più elettrico, legatissimo alla
tradizione seventies statunitense, qui riprodotta con il consueto approccio, mi
si passi l’espressione un po’ forte, presbiteriano. Un disco che suona rock e
country, che parte da un suono classico che cita Neil Young e Bob Dylan, ma che
percorre, per l’ennesima volta, la strada di polverosa tristezza con cui Molina
raggiungeva sempre, inesorabilmente, il cuore degli ascoltatori. Una musica col
groppo in gola e dai toni foschi, un abbecedario della disperazione che parte
dalle radici a stelle e strisce per declinare con sincero lirismo il linguaggio
universale della malinconia. Forse non il disco migliore di Molina (The Lioness
del 2000 e Molina & Johnson del 2009, a mio modesto avviso, gli sono
superiori), ma sicuramente la strada più semplice per accostarsi a una delle
icone del rock americano dell’ultimo ventennio. Questa edizione che celebra il
decennale del disco contiene anche un secondo cd, che riproduce in acustico l’intera
scaletta di The Magnolia Electric Co. Una registrazione artigianale e di grande
interesse artistico, che mette in evidenza il valore di un artista capace anche,
e soprattutto, di un’essenzialità e di un intimismo a dir poco disarmanti.
Indimenticabile.
Voto: 8
Blackswan, domenica 26/01/2014
3 commenti:
Una nazione che fa morire i suoi cittadini,chè non possono permettersi le cure mediche, non può essere definita democrazia avanzata.Mancu li cani.
Passo al volo per un saluto, un abbraccio :D
@ Bartolo: prendere o lasciare: le grandi contraddizioni a stelle e strisce.
@ Melinda: ben ritrovata :)
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